Pubblicato Giovedì, 12 Gennaio 2017
Scritto da Santino Verna

TRADIZIONI ABRUZZESI

IL SANT’ANTONIO DI SCAFA

Nel mese di gennaio, i “santantoniari” di Scafa propongono la rappresentazione del S. Antonio in vari luoghi d’Abruzzo. E’ un gruppo di circa 20 componenti, di diverse età, con svariati personaggi che ruotano intorno all’austera figura di S. Antonio Abate, protettore degli animali.

La tradizione risale al Tardo Medioevo, quando un giullare compose la “Historia Sancti Antonii”, certamente una riplasmazione dell’agiografia ufficiale di S. Atanasio che attrasse il giovane Agostino. Arrivò anche in Abruzzo dove l’accoglienza fu grande, per via della devozione al fondatore del monachismo, in quanto legato al mondo agrosilvopastorale della regione.

La rappresentazione di Scafa, risalente all’inizio del XX secolo, fu composta da Domenico Stromei, con la musica di Gaetano Iezzi, due personaggi incasellati in un angolo periferico del Pantheon artistico abruzzese. Promotore, attraverso la documentazione fotografica, il compianto Valerio Di Valerio di Serramonacesca, demologo per immagini, soprattutto con l’articolo, di Mario D’Alessandro, su “Eco Abruzzo”-novembre 1990, relativo a “Lu sbannimente”, animato da Concezio De Ascentiis, a S. Valentino dell’Abruzzo Citeriore, la cui specificazione ricorda le tante anime della regione.

Un S. Antonio molto semplice, comune a quello di altri paesi d’Abruzzo e Molise, perché queste sono le regioni dove viene rappresentato il S. Antonio. Abbiamo sporadici esempi in Marche, Umbria e Puglia, ma guarda caso, nei luoghi che hanno avuto più contatti con l’Abruzzo. Per questo S. Antonio Abate è un po’ il patrono morale della regione. Nelle altre aree geografiche d’Italia abbiamo suggestivi riti, come i fuochi di Novoli nel Salento (analoghi alle farchie di Fara Filiorum Petri), la celebre benedizione degli animali a Roma nei pressi della Basilica Liberiana (tornata per l’episodio di violenza, alle cronache, proprio agli sgoccioli del tempo natalizio).

Protagonista è S. Antonio, interpretato da Franco Ronzone, dalla barba bianca naturale in luogo di quella posticcia utilizzata nella quasi totalità delle rappresentazioni, ovviamente più corta di quella dell’iconografia statica o in carne e ossa, con il saio da eremita e il bastone alla cui estremità è fissato il campanello, interpretato da alcuni studiosi, come distintivo dell’Abate che convocava i monaci alla preghiera attraverso l’antico e sempre nuovo segnale acustico. Più pittoresca l’interpretazione legata al maiale, allevato dagli Antonti per mantenere gli ospizi sotto la protezione del Santo. Al collo dei suini veniva messa una campanella, come avviene per i buoi.

Fanno corona al Santo, uno stuolo di eremiti, tutti vestiti dal saio marrone, con o senza barba. Irrompe nel momento clou della rappresentazione, il diavolo che fa un vibrante duetto con l’Abate. Interpretato da Cesidio Lissa Ronzone, è un personaggio che quasi sovrasta con l’imponenza il Santo, a differenza dello schema più comune che vuole S. Antonio alto e vigoroso, per sottolinearne la maestosità e l’importanza nella storia della Chiesa e della devozione, e il demonio, non di rado un ragazzo, piccolo e scattante, per meglio infastidire il testimone della fede.

Nella lotta interviene l’angelo, interpretato nelle edizioni precedenti da Fiorella Zappacosta. In quest’edizione ha il ruolo del diavolo in veste di donna, nella maggioranza dei casi interpretato da un uomo, perché nei drammi antichi poteva recitare soltanto l’uomo. Il binomio donna-diavolo è rivolto sia al ceto egemone, che a quello subalterno, per dirla con Alberto Cirese. Il ceto egemone, libero dalle attività manuali, cadeva più facilmente nel peccato della lussuria, mentre i più poveri, vittime dell’oppressione, avevano momenti di forte istintività.

Ma c’è un coro d’angeli in sostituzione del nuovo diavolo che arricchisce la rappresentazione, accompagnata ovviamente da strumenti musicali moderni. Come nella tradizione, il commiato avviene con il ringraziamento e la richiesta di doni alimentari, compenso dell’esibizione, la cui origine non è legata alla stessa. Infatti la vigilia di S. Antonio Abate, come in quelle del Capodanno e dell’Epifania, i poveri del paese andavano nelle case dei benestanti, parenti e amici, a portare gli auguri e il padrone, nel nome di Gesù Bambino o di S. Antonio, doveva offrire uova, formaggio, salsicce, dolci e vino, anche per sfidare i rigidi inverni, non mitigati dagli attuali caloriferi.

La compagnia di Scafa ha portato il S. Antonio in Piazza Navona, nella Basilica di S. Clemente a Casauria, nel Santuario del Beato Roberto a Salle, a Viterbo, al Teatro “Marrucino” di Chieti e presso la sala verde della chiesa di S. Antonio in Pescara, la sera del 18 gennaio 2015, grazie all’incontro con Tonino Di Blasio, sempre nella città dannunziana.

Quest’anno la compagnia sarà di nuovo a Pescara, il 23 gennaio alle 17, a Piazzale Gardone Riviera, nei pressi dell’ex-Aurum, dopo l’esibizione a Chieti, in ricordo dei legami amministrativi di Scafa con il capoluogo marrucino. Sì, perché la rappresentazione del S. Antonio non abbraccia soltanto la data liturgica, ma praticamente tutto il mese di gennaio, e quando bisogna andare in altri paesi, si finisce a febbraio, in un clima di fratellanza e goliardia.

SANTINO VERNA