Pubblicato Lunedì, 31 Ottobre 2016
Scritto da Santino Verna

SANT’EMIDIO VENERATO ANCHE IN ATRI

PROTETTORE CONTRO I TERREMOTI

Il protettore contro il terremoto è S. Emidio, perché nel violento sisma del 1703, riguardante l’Italia Centrale, come in questi giorni, fu risparmiata la città di Ascoli Piceno, di cui il Santo Vescovo è patrono. Per questo molte città lo elessero compatrono, con la costruzione di un altare in una chiesa del posto. L’Abruzzo, regione particolarmente sismica, soprattutto nell’entroterra più a Sud, cominciò a venerare S. Emidio con maggior vigore.

Il martire di Treviri, città tedesca di cultura romana, visse tra il III e il IV sec. e proveniva da famiglia pagana. Convertito al cristianesimo, fu ordinato Sacerdote a Milano e Vescovo a Roma. Secondo la tradizione fu mandato a rinnovare la fede in Ascoli, dove il Vangelo era arrivato grazie alla “caput mundi”, abbastanza vicina e collegata con la Via Salaria, la strada legata al commercio del sale.

In Ascoli il prefetto era pagano, e quando vide i miracoli compiuti dal Signore per intercessione di S. Emidio, gli promise in moglie la figlia Polisia, se avesse sacrificato agli dei. Il testimone della fede, non soltanto rifiutò, ma convertì Polisia, battezzandola nelle acque del Tronto. L’episodio scatenò l’ira delle autorità romane di Ascoli, e S. Emidio fu decapitato. Secondo la leggenda, il Santo raccolse la testa e la portò fino al luogo della sepoltura, per questo fu inserito tra i Santi “cefalofori”, come S. Miniato, festeggiato il 25 ottobre, all’origine della Basilica sepolcrale a Firenze.

S. Emidio, nell’iconografia è rappresentato imberbe, con lunga capigliatura, per sottolineare la verde età, in abiti pontificali con la prevalenza del rosso, colore liturgico dei martiri e un muro cadente, perché protettore contro i terremoti. Appartenente alla “patristica popolare”, è associato, nell’iconografia, a S. Donato, Vescovo di Arezzo, molto venerato in Abruzzo, perché protettore contro l’epilessia. Gli sono speculari, nella fisionomia di Vescovi anziani dalla corta barba bianca, S. Nicola di Mira (o di Bari) e S. Biagio, il primo confessore, il secondo martire, rispettivamente patrono di sarti, mercanti e naviganti e patrono dei cardatori. Il primo era invocato contro la carestia, soprattutto a Pollutri, il secondo contro i mali della gola.

In Atri, protettrice contro il terremoto era S. Reparata, venerata sin dall’inizio del XIV sec. nella cittadina, grazie a mercanti fiorentini. La sua intercessione salvò Atri da un sisma, un 2 febbraio, e per questo, nel giorno della Presentazione del Signore, veniva esposto in Cattedrale, il busto argenteo, dove il plastico del paese viene interpretato sia come protezione della città, sia come pericolo scampato dal sisma. Una signora di Atri, passata all’altra riva qualche anno fa, portando in braccio il nipotino, nell’annuale festa di S. Reparata, gli spiegava l’oggetto che tiene in mano, proprio in riferimento al terremoto.

Nella seconda metà del XVII sec. i rapporti di Atri con la terra adottiva di S. Emidio diventarono più forti, perché i Vescovi erano tutti provenienti dalle Marche. Questo significava un maggior contatto con lo Stato Pontificio. Imago brevis di questa relazione, è il baldacchino in legno di noce (1677) di Carlo Riccioni, allievo di Gian Lorenzo Bernini, e corrispettivo etnodemologico, la tradizione del cavallo di fuoco (1682) nella festa della Madonna di S. Giovanni, a Ripatransone, quando un esperto di giochi pirici originario di Atri sbalordì i ripani con l’omologo equino della “pupa”, fantoccio tuttora presente a conclusione del programma ricreativo della festa dell’Immacolata Concezione.

Nel 1731 Atri ottenne le reliquie di S. Emidio, su richiesta del Vescovo celestiniano Francesco Antonio Bussolini (o Bussolino). Se i piccoli resti di un Santo destavano tanta emozione nella gente (pensiamo all’impresa dei marinai baresi a Mira, per il corpo di S. Nicola, nel 1087, compiendo quasi una competizione atletica, vicendo su anconetani e veneziani), dall’altra provocavano una delusione, perché incastonati in un prezioso reliquiario non davano l’idea dell’immagine del testimone della fede.

La conferma la vediamo ogni anno nella processione di S. Rita, dove l’attenzione va al simulacro vestito, e non tanto al reliquiario, portato da un sacerdote parato. Per ovviare la situazione, vennero fuori i reliquiari-parlanti, ovvero busti di Santi che diventavano la custodia della reliquia. Atri ne ha tanti, custoditi nel Museo Capitolare, ma per tanto tempo, collocati sui credenzoni lignei della sacrestia capitolare, esclusa dal biglietto, visibili attraverso la cancellata in ferro battuto, per separare il locale dalla navata sinistra della Cattedrale. Nel Duomo vi era pure una statua, a figura intera, di S. Emidio, portata nei locali del Museo non accessibili al pubblico.

La festa cade il 5 agosto, ma in alcuni luoghi viene spostata ad altra data, come a Fara S. Martino, dove è festeggiato il 23 dello stesso mese, per rendere la celebrazione contigua agli altri protettori, S. Antonio di Padova e S. Rocco. Nel paese della pasta, S. Emidio ha assunto una posizione sempre laterale. Nella Collegiata di S. Remigio, nell’altare dov’era venerato, lasciava la centralità a S. Antonio Abate, in trono (come in Atri), nella collocazione originaria dei simulacri.

Da Fara il culto fu rinverdito in Atri, dall’Abate Giuseppe Verna, Parroco di S. Cetteo in Pescara, quando la città non era ancora provincia, insigne umanista e Canonico della Cattedrale di Atri, per volere del Vescovo Carlo Pensa. Nella casa dove abitò alcuni anni, in Piazza duchi d’Acquaviva, allora del popolo, aveva l’altarino di S. Emidio, dove pregò particolarmente per un altro terremoto che colpì l’area pedemontana della Maiella.

SANTINO VERNA