Pubblicato Mercoledì, 19 Ottobre 2016
Scritto da Alfio Carta

Un saggio storico, un viaggio nel tempo per capire il presente

NASCITA E DECLINO DELLE CIVILTA’

L’Impero Romano: il suo collasso e la sua attualità

Anni or sono avviai il difficile discorso sul grande tema dell’ascesa e del declino delle civiltà. Un complesso, difficile viaggio a ritroso nella valutazione storica degli eventi che hanno interessato e connotato le varie civiltà, addentrandomi in una storiografia che ripercorresse, fin dall’antichità le varie civiltà succedutesi.  Una dimensione vastissima della storia che non potevo approfondire, restringere in tutti i suoi intrinseci valori in un solo saggio, troppi essendo i diversi fattori che la connotano: divisioni ideologiche, grado di civiltà, motivi religiosi, divergenze culturali, potenza militare, spirito di conquista etc.  Allora mi sono soffermato di volta in volta su specifici approfondimenti delle singole realtà storiche. Diversi sono stati gli articoli, i saggi, le riflessioni, che ho scritto al riguardo. Ed ho capito che la storia delle civiltà è come un organismo che lentamente invecchia e degenera mentre altre si affermano sotto spinte di valori diversi.  Anche seguendo lo storico Toynbee, ho escluso però qualsiasi visione deterministica e ciclica della storia nelle mutazioni delle civiltà. Ogni civiltà, scrissi, si configura come una risposta ad una sfida, come una vittoria dell’uomo sulle condizioni avverse. Non ci sono ragioni perché un susseguirsi di stimolanti sfide non possa essere  controbilanciato da un susseguirsi di repliche vittoriose. 

In questo difficile e complesso impegno storiografico  mi  immersi con slancio ed istintivo sprone, nel fantastico mondo mitico, in una allegoria che sentivo vivente, quasi una profonda pervasiva compenetrazione prorompente in me, tanta era radicata l’immedesimazione nell’accostamento all’immaginifico mondo mitologico. Così mi  sentii novello Bellerofonte cavalcare  Pegaso, il mitico cavallo alato con la briglia d’oro, non in cerca della Chimera ma per osservare  a volo radente  sull’infinito campo erboso dell’umanità gli eventi che hanno determinato nei millenni l’evolversi o il dissolversi delle civiltà umane. E scrissi una serie di saggi ed articoli, forse anche prolissi, che non ripropongo singolarmente al lettore, e che riassumo molto schematicamente qui di seguito prima di apprestarmi a parlare finalmente della caduta dell’impero romano, tappa importante nel novero delle civiltà umane e che allora non affrontai  perchè preso da un lungo periodo di languido torpore e pigrizia intellettuale, quasi avessi in uggia il mio iniziale entusiastico impegno culturale di incanalare le mie conoscenze sulla continuità dei processi storici e sulla relatività nel fluire dei tempi dei corsi sociali che coincidono con la civiltà di un popolo.

In quei precedenti saggi ebbi ad osservare che si sarebbe potuto evitare il Tramonto dell’Occidente, oggi sottomesso alla duplice dittatura della finanza speculativa e dell’Eurocrazia, che stanno uccidendo l’economia reale e la democrazia sostanziale, alla dittatura del globalismo che abbatte le nostre frontiere e promuove l’ideologia dell’immigrazione, alla dittatura del relativismo che scardina i valori fondanti della nostra umanità, favorendo la diffusione dell’ideologia islamica con il suo portato di terrorismo, violenza, odio, distruzione, arbitrio, dissimulazione. Le economie europee sono stressate dalla concorrenza di altre aree del pianeta, più affamate e dunque più aggressive, e dal peso del welfare non più sostenibile. Tutto all’insegna della bufala del rigore teutonico. In questi anni ci hanno riempito le orecchie con l’inaffidabilità dell’Italia e con la rigidità e l’onestà della Germania. Tutte balle. Tra il Fondo monetario internazionale e la Germania continuano a volare gli stracci anche per le alchimie tossiche tedesche sui “mutui subprime”: un groviglio di irregolarità tedesche che pongono una questione anche etica oltre che politica. Le realtà nazionali vanno rispettate, l’Europa non si può costruire contro la volontà delle nazioni. E le nazioni non sono un evento provvisorio della Storia, ma sono fatte per durare. I popoli d’Europa hanno bisogno di una prossimità immediata, amano la loro terra, amano il paesaggio e le loro tradizioni. Amano un continente fatto di diversità. Non una parola sulle vere cause del grande gelo, del disincanto della gente nei confronti delle istituzioni comunitarie. Tutto questo io chiamo “eurosuicidio” e gli ho dedicato un saggio, rimarcando l’inconsapevole orientamento, totalmente irresponsabile, a suicidarsi. I popoli hanno antenati comuni, sono fatti della stessa argilla, recano la stessa impronta, un popolo è guidato più dai suoi morti che dai suoi vivi. Quell’anima è formata da una rete di tradizioni, idee, sentimenti, modi di pensare comuni.  E poi le crescenti tensioni tra l’Occidente e Mosca. Non lo ammettiamo ma siamo noi ad avere paura irrazionale della Russia, situazione che spinge molti commentatori a parlare di nuova guerra fredda. Secondo il famoso ex ambasciatore italiano in Unione Sovietica e alla Nato, Sergio Romano, acuto osservatore e scrittore degli avvenimenti nel mondo, le vicende degli ultimi mesi partono da molto lontano, dall’allargamento della Nato ai Paesi che facevano parte del Patto di Varsavia, alle cosiddette rivoluzioni colorate in Georgia ed Ucraina, sino alla guerra in Siria. Una storia, questa, in cui si legge in filigrana la russofobia che è insita nella nostra cultura, attraverso cui vediamo solo la pagliuzza negli occhi di Putin, mentre continuiamo a non vedere la trave in quelli dell’Occidente. Non dovremmo dimenticare come la Russia abbia vissuto l’allargamento della Nato ai paesi che facevano parte del patto di Varsavia e addirittura alle repubbliche baltiche che facevano parte dell’ex Unione sovietica. Del resto, aprendo la Nato a questi paesi che hanno vissuto con l’Armata Rossa e che di Mosca hanno paura, ci siamo portati in casa la maggiore lobby antirussa. Difficile leggere quest’allargamento in un ottica che non sia ostile alla Russia, ed a questa visione  politica  l’Europa  è pienamente aderente.

Anche  lItalia sta perdendo la sua identità nazionale; siamo noi stessi che tendiamo a cancellarla la nostra,  ritenendola un ostacolo, una chiusura. I nostri personaggi  che si muovono a loro agio nelle istituzioni sono l’icona dell’italico fancazzismo. Scoppia il primo partito italiano dilaniato dallo scontro interno – una possibilità sempre più concreta – ed il botto sarà tale che gli effetti collaterali dell’esplosione non risparmieranno nessuno, a sinistra ovviamente, ma anche dalle parti del centrodestra e pure da quelle grilline.  Certo, uno scossone potrebbe anche essere salutare. Ce ne siamo dimenticati forse, oppure non riusciamo più a capire il nostro recente passato. Viviamo un’attualità sempre più complessa, annebbiata dal politicamente corretto, una melassa soffocante che non ammette note stonate, quali noi orgogliosamente siamo. Coltiviamo due illusioni opposte: renderci accoglienti nei confronti dello straniero e dichiararci aperti, senza confini né tabù verso chiunque venga da fuori o si situi al di fuori di quell’orizzonte identitario. Oppure l’illusione opposta: ci crediamo superiori perché loro sono legati ancora alla loro identità, alle loro chiuse superstizioni, mentre noi siamo globali, agiamo nel nome dell’umanità e dei diritti umani, da cittadini del mondo. L’identità è il Dna di una civiltà, frutto della natura e della cultura sedimentata nei secoli. L’identità è radice, la tradizione è la sua linfa. Noi abbiamo radici  ebraico-cristiane  e non siamo stati capaci di includerle nella costituzione Europea, rinnegando le proprie origini. Proprio in questi giorni l’Unesco, il braccio artistico dell’ONU, su proposta dei palestinesi e dei giordani sta per approvare una mozione che nega ogni rapporto storico fra l’ebraismo e il Monte del Tempio. Cioè, fra l’altro, il famoso Muro del Pianto, il primo luogo santo degli ebrei nei secoli dei secoli. Ieri l’Assemblea  ha votato una mozione preliminare e sei coraggiose nazioni hanno votato contro (USA, Inghilterra, Lituania, Olanda, Germania, Estonia), mentre ventisei Stati pusillanimi si sono astenuti e fra questi l’Italia. Che imbarazzo, che vergogna che una della più accertate verità archeologiche e storiche, di cui peraltro c’è una prova lampante proprio a Roma nel bassorilievo dell’arco di Tito (che conquistò il Tempio) che ritrae i prigionieri ebrei con la lampada a sette braccia a spalla proprio da quel tempio che ora si chiamerà spianata di Al Buraq, dal nome del  cavallo che trasportò Maometto in cielo. Non importa all’Unesco che uno degli sport preferiti dal terrorismo sia appunto negare ogni nesso degli ebrei con la loro vera storia, che ne tesse l’origine e lo sviluppo di Gerusalemme. Che importa: l’importante è manipolare lo scenario internazionale. Il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova  ebbe la decenza di dichiarare che non si può negare il rapporto fra le tre religioni e il sito, ma la febbre antisemita dell’ONU è sempre alta. Così siamo arrivati a questo prevoto. Ma visto che la Tomba di Rachele e la sinagoga di Hevron, quella dove sono seppelliti i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe sono stati dichiarati retaggio musulmano, c’è da aspettarsi di peggio. C’è una verità sul Monte del Tempio: una brochure del 1924 redatta dall’WAQF, l’autorità islamica che con grande orgoglio dice che non c’è alcun dubbio che il sito fosse quello del tempio di Salomone di quello di Erode (non l’uccisore dei bambini, il padre). Gli scritti di Tacito e di Flavio Giuseppe che testimonia la caduta del Tempio. Una riga nel Corano per il volo di Maometto a al Masjid al Aqsa alla città lontana, quando ancora non esisteva la Moschea dato che Mohammed è morto bel 632 ed essa si costruisce nel 705. Ma l’antisemitismo vince, complice anche l’Italia con la sua astensione.

Mi soffermai sulla Civiltà Ellenica, ed in particolare sulla “Guerra del Peloponneso” che decretò la caduta di Atene. Il conflitto che oppose Sparta  (431/423 a.C.)  - non autoctona con origini dalla migrazione dorica -  ed Atene  con la sua egemonia, vera causa della guerra, ed anche con la propria autoctonia, esaltata nel discorso di Pericle, basata sulla autosufficienza ateniese, senza bisogno di ulteriori  espansioni. Tucidide ne fu il testimone storico, la cui complessità del pensiero diede alla sua prosa attica una nervosità ed una crudezza di efficacia ed evidenza singolari.

Celebrai il centenario dell’abisso di male dell’Armenia, il genocidio di una civiltà! Un milione e mezzo di morti. Il monte biblico Ararat dove si arenò l’arca di Noè. Una popolosa e prosperosa nazione, contesa  già da fine ottocento dai russi e dagli ottomani. Sarebbe stato possibile costringere la Turchia  a non straziare chi non domandava altro che di essere lasciato in pace. Ma niente mai fu fatto. Furono eliminati per odio religioso dai musulmani turchi e non hanno potuto mai ritagliarsi un sia pur piccolo spazio di vera autonomia  identitaria. E prima ancora che diventassero cristiani, quando nacquero come popolo, gli armeni  tramandarono nel settimo secolo a.C. di essere discendenti di Noè, da Jafet, che diede il primo vino al mondo attraverso gli armeni: il distillato Ararat che se ne ricava ha un profumo che sa di miele e albicocca. Che bella gente quella armena. E la Turchia non riconosce l’orrore della propria storia mentre tutta questa storia ignorata assume un velo di terrore ed orrore.

E poi ancora la  Civiltà Atzeca. Una cultura perduta dalla “conquista” spagnola  “de la nueva Espana” che si trasformò nella cornucopia di feroci spietatezze. A volte sono forze invisibili a decidere sugli esiti degli scontri di civiltà. Uno scenario in cui tutto si agita e si muove: spera, dispera, combatte resiste, fino a quando sovrano e popolo vengono massacrati. Uccidere gli indios in nome di Dio, la conquista spagnola è sacra, opera di Dio, ma è anche una nequizia miserabile, una sventura, un trionfo del diavolo che sommerge nell’abisso una delle maggiori civiltà del mondo, del quale, peraltro gli stessi spagnoli erano anche affascinati. Tutto iniziò nel 1519 quando Cortes raggiunse la costa messicana. Il 16  agosto 1521, dopo una violentissima resistenza che causò la morte della maggior parte dei suoi abitanti, Tenochtilan cadde. Come si siano svolti in dettaglio i fatti e come fosse strutturata la civiltà azteca è poco noto. Per svariati motivi. Il primo è proprio  la mancanza  di scrittura di una delle due parti. È decisamente prevalente la narrazione dei vincitori: un conto è una narrazione scritta, un conto è un pittogramma. Peraltro i religiosi occidentali attenti a studiare la lingua degli indios, tendevano a distruggere considerandoli demoniaci.

Ho compendiato, sia pure schematicamente, alcuni passati miei scritti ed ora che sono uscito dal torpore intellettuale posso con rinnovato slancio subliminale riprendere il discorso, a suo tempo lasciato incompiuto, sul fluire delle civiltà. Ho ripreso la mitica cavalcata a ritroso, soffermandomi sul declino dell’Impero Romano che ebbe ancor prima alto prestigio, gloria e fulgore, come  descrissi ampiamente in un precedente saggio, in merito al quale richiamerei l’attenzione del lettore per una integrale rilettura (La divina romanità, tra storia, mito e leggenda). Quel mondo è una immensa somma di idee, saggezza, grandiosità di prospettiva, politica, attenzione alla pubblica prosperità, politica pacificatrice, in poche parole la favolosa età d’oro, la missione di Roma. E tutto quello che Roma fu nello sfolgorante sviluppo verso uno splendore accecante, epocale della sua grande civiltà, un delle più belle pagine nella storia universale, l’ho già raccontato  approfonditamente e non può essere riconducibile ad una sintesi sommaria  ad uso sinottico del lettore per rispondere  solo  ad una specifica esigenza narrativa.

Entriamo, quindi nell’analisi storica del Collasso dell’Impero Romano, pur considerando che il recente testo di Michel De Jaeghere ha diviso la Francia per il polemico parallelo tra il passato ed oggi. L’impero romano, prima forma di stato multietnico, iniziò il suo declino nel momento in cui rinunciò a selezionare i suoi cittadini, non per razza ma per utilità, possibilità, convinzione e accettazione di fare parte di una comunità. Quella civiltà collassò per  il crollo demografico, per far fronte al quale si inaugurò una persecuzione fiscale che distrusse l’economia; allora si cercò vanamente di ovviare tramite l’immigrazione massiccia. Che però trascurò di governare. Se tutto questo ci ricorda qualcosa, abbiano azzeccato anche il motivo per cui gli  intellò politicamente corretti d’oltralpe sono insorti. La vecchia tesi di Edward Gibbon che è settecentesca e perciò più vecchia del cucco, forse poteva andar bene a Marx, ma non ha mai retto: non fu il cristianesimo a erodere l’impero romano, per la semplice ragione che la nuova religione era minoritaria e tale rimase a lungo anche dopo Costantino, l’impero cessò ufficialmente nel V° secolo, quando i cristiani erano  neanche il dieci per cento della popolazione. Solo nella pars Orientis erano maggioranza. Difatti Bisanzio resse altri mille anni: quelli che combattevano per difenderla erano tutti cristiani soldati (inutilmente) vittoriosi come Ezio e Stilicone. Tutto cominciò col declino demografico. I legionari, tornati a casa dopo anni di leva, mal si adattavano a una condizione di lavoratori che, quanto a profitto, li metteva a livelli quasi servili. Così andavano ad ingrossare la plebe urbana, cui panem et circenses gratuiti non mancavano. Le virtù stoiche della pietas e della fidelitas alla res publica vennero meno, e il contagio, al solito partì dalle elites. Nelle classi si diffuse l’edonismo, per cui i figli sono una palla al piede.  Coi costumi ellenistici dilagarono contraccezione, concubinaggio e divorzio, tant’è che Augusto dovette emanare leggi contro il celibato. Inutili. Anche perchè, secondo i medesimi costumi, l’omosessualità era aumentata in modo esponenziale. Roma al tempo di Cesare aveva un milione di abitanti, sotto Romolo Augustolo, l’ultimo imperatore d’Occidente, solo ventimila. Già nel II° secolo d.C. l’aborto aveva raggiunto livelli  parossistici e, da misura estrema per nascondere relazioni illecite, era diventato l’estremo contraccettivo. Solo i cristiani vi si opponevano, ma erano pochi e pure periodicamente decimati dalle persecuzioni. Così ogni volta i censori dovevano constatare che di gente da tassare  e/o da mandare a difendere il limes ce n’era sempre meno. Le regioni di confine divennero lande semivuote, tentazione fortissima per i barbari  dell’altra parte. Si pensò allora di arruolarli: ammessi ai benefici della civiltà romana, ci avrebbero pensato loro a difendere le frontiere. E ci ritrovò con intere legioni composte da barbari che non tardarono a chiedersi perché dovevano obbedire a generali romani e non ai loro capi naturali. Metà di loro erano germanici, e si sentivano più affini a quelli che dovevano combattere.

La spinta di espansione era cessata quando  i romani si erano  resi conto che, schiavi a parte, in Europa c’era poco da depredare. I barbari, invece, vedevano i mercanti precedere le legioni portando robe che li sbalordivano e ingolosivano. Si sa come è andata a finire. Intanto che fa il fisco per far fronte al mancato introito? dovuto alla denatalità? La cosa più facile e stupida del mondo: aumenta le tasse. Solo che gli schiavi non le pagano e sono il 35 per cento della popolazione. Gli schiavi non fanno nemmeno il soldato. I piccoli proprietari, rovinati, abbandonano le colture, molti diventano latronesuel  Quel mondo è un QQQQQQQQQQ

, cosa che aumenta il bisogno di soldati. Il romano medio cessa di amare una res publica che lo opprime e lo affama, e non vede perché debba difenderla. Nel IV° secolo gli imperatori cristiani cercarono di tamponare la falla principale con leggi contro il lassismo morale, intervenendo sui divorzi, gli adulteri, perfino multando chi rompeva le promesse matrimoniali. Ma ormai era troppo tardi, la mentalità incistata e diffusa vi si opponeva. Già al tempo di Costantino le antiche casate aristocratiche erano praticamente estinte. L’unica rimasta era la gens Acilia, non a caso cristiana. C’è chi dice che grazie ai figli le società  si sono auto rigenerate e le civiltà si sono evolute. Mentre quando si è smesso di fare i figli, come accadde con l’impero romano, quando è venuta meno la cultura della responsabilità, delle regole, dei doveri e dei sacrifici, le società sono morte e le civiltà sono scomparse. Solo una cosa può estinguere una civiltà, diceva Arnols Toynbee: il suicidio. Quando nessuno crede  più all’idea che l’aveva edificata. Troppo sinistro è il paragone con l’oggi, sul quale, anzi, il sociologo delle religioni Massimo Introvigne in un suo commento al libro di De Jaeghere ha infierito affondando il coltello nella piaga: i barbari che presero l’impero non avevano una  “cultura forte” e riconoscevano la superiorità di quella romana. Infatti ne conservarono la nostalgia e, alla prima occasione, ripristinarono l’impero (Sacro) e romano. Si può dire lo stesso degli odierni immigrati islamici? I quali pensano che la “cultura superiore“ sia la loro? 

In questa rassegna credo di essere stato di una chiarezza brutale, lontana dalle cartoline oleografiche, dalla narrazione intinta nello zucchero a velo dell’ottimismo, dalle convenzioni del galateo istituzionale, senza perifrasi, risalendo la corrente dei tempo. Non ho lasciato gli storici chiusi nello sgabuzzino della storiografia. Ho ripreso, con umiltà, qualcosa da collocare in uno scaffale tematico sui cui contenuti lascio, con rispetto, che le diverse opinioni si confrontino con le mie.

Alfio Carta