Pubblicato Sabato, 30 Luglio 2016
Scritto da Alfio Carta

SE VUOI FAR RESPIRARE LA VITA

DILLO CON UN SORRISO. O FORSE NO

Il pensatore che scrive ha un particolare spirito di osservazione ed è attento a tutti gli eventi passati della geopolitica, un groviglio quasi armonioso di episodi nodali che ponevano sul tappeto temi cruciali come il Cristianesimo, lo Stato, la nazione, l’economia, il Welfare  State, la rivoluzione, le libertà in quanto diverse dai diritti, il pluralismo, posizioni ed esigenze talmente diverse che solo la retorica della concordia e delle voci diverse che fanno l’armonia del coro, riesce a giustificare. L’istintiva attenzione è però rivolta anche agli eventi attuali, purtroppo intrisi di una marcata tragicità, un caos nel quale mettere ordine, tracciare una linea fra un dentro e un fuori. Un mondo diverso, gli anni più bui della civiltà euro-atlantica, oggi assediata da ogni parte con evidente affievolimento dei valori della libertà politica e dell’umana dignità. Raramente si è visto nella lunga storia della credulità occidentale uno iato così forte fra lo stato del nostro spirito e lo stato delle cose, fra ciò che ci auguriamo e ciò che è. Si accarezza l’idea di un pianeta levigato, sgombro dall’altro, una terra con il lifting, una terra con tutte le cicatrici cancellate, dove il Male sembra miracolosamente scomparso. Forse un’idea sciocca incanta l’occidente, ma non so quale, forse qualche misterioso e imprevedibile evento, un sogno che si apre in arabeschi di colori,  mentre è certo che l’umanità sta andando male. Io da fedele scrutatore e interprete della storia ho nella mia tavolozza concettuale solo il bianco ed il nero. Oggi sullo sfondo di tutto resta la politica politicante e non il bene.

Quel pensatore non ha però sempre l’animo di scrutare e transitare fra le pieghe della storia. Egli, talvolta, come questa, non s’atteggia a storico  - già non si picca di esserlo -  e quasi  d’istinto diventa solo un attento osservatore del comportamento delle persone nella spicciola, comune quotidianità; gli atti, gli atteggiamenti i più spontanei che connotano gli esseri umani nel loro genere e nel loro carattere: la varia umanità. Quindi lascio da parte gli eventi della geopolitica e, anche cullato dalla tradizione della pausa estiva, mi abbandono a  discettare d’altro per coprire il vuoto del mio usuale intrattenimento pregno di prolissi ed ostici saggi culturali storici letterari. Il mondo corre ad un ritmo forsennato, ma per me è il momento della controra,  l’istintiva eredità di un tempo che fu.

Quindi disattendo l’arretramento oscurantista già nell’aria, un caleidoscopio dell’oscurantismo senza cedere all’autocompatimento, sorvolando sul triste periodo che attraversiamo. Una pausa serve a creare un pizzico di effetto nostalgia degli anni  60/70  oppure a non soffermarsi sulla famosa domanda che Ratzinger si pose nel discorso tenuto all’università di Ratisbona, che probabilmente gli costò il posto.

Non mi soffermo sugli assassini di Dacca, sul disastro ferroviario in Puglia, sul fallito e misterioso golpe in Turchia ed sul controverso contro golpe di Erdogan, sulle violenze sessuali di Colonia, sulla strage di Monaco di Baviera, Jihadisti o neonazisti poco cambia, sarà la vandea per la Merkel che guida una nazione geneticamente razionale e ordinata e poi ancora l’ennesima, nota spietatezza a Kabul: un avvenimento drammatico dopo l’altro; e noi italiani non riusciamo a capire che viviamo in un Paese dove prevale un pressapochismo miserabile su cui si preferisce sorvolare. Il nuovo terrorismo non si abbevera al pozzo delle riforme costituzionali ma nell’imperante caos e disordine sociale.

Tutto questo io disattendo abbandonandomi invece a qualche  vezzo della nostra esistenza;  ce ne sono tanti ma la massa, la moltitudine è connotata dall’atto di approccio in senso lato, garbato,  sorridente ed accattivante trasporto oppure, nel contrario, con apatica, fredda insensibilità.

Sorridi e la vita sorriderà. Detto, stradetto.  Ma sarà poi così vero? Per carità, un sorriso fa sempre bene, a chi lo dà e a chi lo riceve. Ma sarà poi sempre opportuno? Sorridere apre al mondo, invita, accoglie, svela. Ottimisti, buonisti, positivisti ne hanno fatto una bandiera. Eppure il dubbio qualche volte viene: chi l’ha detto che non sia meglio invece mantenere quella discreta distanza, crogiolarsi nel proprio umor nero, non fare neanche quel po’ di accenno  a empatizzare. Che non sia più stiloso il muso?  C’è da dire che è anche una questione di natura. Ci sono quelli che ti incontrano, salutano e sorridono. Sempre e comunque. Sorridono a te che vedono per la prima volta e a quelli che incontrano ogni santo giorno. Non è una roba finta, sorridono con la bocca e con gli occhi. È il loro stile. Sorridono al taxista mentre comunicano amabilmente la meta da raggiungere e anche mentre parlano andando verso la suddetta meta e pure quando scendono dall’auto. Sorridono all’amico, alla suocera, al collega, al supermercato e alla commessa. Al barista mentre chiedono il caffè e in banca quando gli rifilano l’estratto conto che non sorride per niente. Sorridono anche quando non ne hanno voglia. Quando sono felici, ma anche quando non lo sono. Sorridono perché sono educati così, perché vogliono apprezzare le piccole cose. Sorridono nonostante a volte siano considerati anche un po’ stupidi. Per carità, carini e pure simpatici e anche gioviali e piacevoli. Però magari fino in fondo non l’hanno mica proprio capita. Sorridono un po’ perché hanno acquisito fin troppo bene l’insegnamento della mamma (sorridi, sii educato/ saluta, stai composto/a).  Un po’ perché sono quelli del bicchiere mezzo pieno, del  “buon viso a cattivo gioco”, del ridi che ti passa eccetera eccetera. A costo di essere considerati quelli che nella recente psicologia cognitiva vengono definiti gli “ottimisti ottusi”.  Ovvero, detto in altro modo, tutti coloro che non sanno di essere stati colpiti dalla cosiddetta  (scientificamente) sindrome di “Pollyanna”. la protagonista del romanzo della Porter dei primi del ‘900 sempre contenta, nonostante il mondo si ingegni a metterle tra i piedi una serie di innumerevoli sfighe. Non è che non hanno problemi, e neppure che se ne fregano. Però sorridono. Poi ci sono gli altri. Quelli che non sorridono. O comunque distillano. Non è che ce l’hanno col mondo intero, però stanno sulle loro. Prendono le distanze, non si mescolano mai troppo con chi hanno di fronte (a me capita anche al Bar dove qualcuno  che ben mi conosce rimane consapevolmente assorto nei suoi pensieri e al mio approccio non mi invita a sederglisi vicino), oppure non gliene va mai troppo ben una, o comunque gli andrebbe sempre meglio l’altra. Sono quelli del bicchiere “mezzo vuoto”, del cercare oltre e altro. E quindi decisamente più intriganti, forse meno simpatici ma senza tirare su quel mezzo angolo di bocca hanno, quel non so che, e dire che senza sorridere non risparmiano neanche fatica.

Alcuni studi hanno dimostrato che usiamo all’incirca 17 muscoli facciali per sorridere, mentre per accigliarci ne mettiamo in movimento più di 40. È una questione di stile. Se non potete farne a meno (di sorridere) consolatevi con la poesia di Faber: “Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso come colui che non sa darlo”.  Eventualmente anche solo mostrando i denti.

Alfio Carta