Pubblicato Venerdì, 03 Giugno 2016
Scritto da Claudio Varani

LA MIA ATRI

TRA VICOLI E ANTICHE VIE

VICO GRUE:

Stavolta non dovrò fare un lungo elenco, perché in Vico Grue, piccolo e stretto, da una parte c’era il proseguimento di casa Perfetti e di casa Angelini Pierangeli, nell’altro lato, dopo il giardino sopraelevato di Mazziotti, solo le abitazioni di “Caruline”, di Anna Pallini e Maria Pavone (la “Succett”) e poi di una certa Angeladivina.

Il vero personaggio di rilievo era “Caruline”. Carolina Cretone, già anziana negli anni ’60, rappresentava il prototipo della popolana di Atri. Non che fosse un esempio, tutt’altro, ma in lei si potevano trovare tutti i pregi e tutti i difetti di una donna che per tutta la vita si era dovuta arrangiare da sola, anche in momenti di miseria e di guerra.

Dicono che da giovane fosse una bellissima donna, ispiratrice di una vecchia canzone popolare atriana:”Caruline è la cchiù belle…”. Un figlio in brefotrofio, che nonostante tutto adorava la mamma e quando in età avanzata la veniva a trovare veniva quasi sempre maltrattato e insultato.

Faceva la lavandaia, soprattutto lavava le lenzuola:  i ragazzi di oggi non sanno quanto fosse faticoso lavarle a mano, si usava la liscije ( un misto di acqua e cenere) e il sapone fatto in casa ( a casa mia se ne produceva tanto con il grasso e gli scarti del maiale, una procedura che oggi farebbe storcere il naso a tutti), almeno tre lavaggi e poi venivano stese nei prati sottostanti via Cherubini. Non c’erano ancora le lavatrici, ma solo una lavanderia pubblica vicino all’attuale distributore API, dove, “struscia che ti struscia”, si riusciva a far tornare le lenzuola pulite e profumate, e, proprio per questo non venivano lavate certo tutte le settimane.

Passando gli anni, per sopravvivere si era dedicata ad altre attività non proprio lecite che le avevano procurato anche parecchie noie con la legge; ma resisteva sempre, fra molti stenti,  nei pochi locali dove abitava: ad esempio, per riscaldarsi, pattugliava i dintorni per raccogliere tutto quello che trovava, cassette della frutta, sterpaglie, cianfrusaglie di ogni genere, che accumulava ordinatamente nel fondaco per usarle di volta in volta non ricordo se nel camino o in una stufa, senza curarsi dell'igiene o del pericolo che poteva correre. Non permetteva a nessuno di ingerirsi nella faccenda: se qualche benpensante, figlio compreso, ogni tanto si preoccupava di dare una "ripulita" al deposito, lei non si dava pena: imprecava un po’ e il giorno dopo già cominciava a recuperare tutto.

Sempre affacciata alla finestra, stava sempre a spiare i passanti, a parlare con tutti nel suo dialetto strettissimo e a dire male a noi bambini che, schiamazzando, correvamo su e giù sotto casa sua: la nostra gara era di riuscire a passare di corsa sotto la sua finestra senza essere colpiti dai prodotti del suo orinatoio, che puntualmente riversava su di noi ( ma penso che, di solito, fosse solo acqua). Alla mia famiglia, nonostante i modi burberi, voleva bene, perché la nostra cara mamma, certo anche su disposizioni di Donna Vivì Pierangeli, le faceva recapitare da me o da mio fratello pasti completi ad ogni festa comandata e lei ne era grata, anche se non si scioglieva in ringraziamenti eccessivi. Era un misto di intelligenza, di rozzezza e di furberia.

Racconto tre soli episodi simpaticissimi, di cui il secondo sarebbe stato meritevole di una commedia di Eduardo De Filippo:

 1) Al battesimo della mia prima figlia, un invitato per una piccola cerimonia a casa nostra, non sapendo dove abitavamo, chiese a Carolina se il battesimo era lì di fronte; lei, un po’ dura d’orecchi, capì sicuramente male e con modi burberi rispose:- Ma che vulije che la citile n’aveje da battezzà? Ma che l’avej da fa cresce come nu nimale?- 

2) La Sig.ra Perfetti di Vico Trolii, di buona famiglia, non condivideva la vita e i modi dei suoi vicini, non mancando mai di esprimere verso tutti critiche e rimproveri. La maggior parte delle donne lì intorno, per quieto vivere (così si diceva) non rispondevano; Carolina no, lei non gradiva i rimproveri e aspettava solo l’occasione di vendicarsi. Una sera, vedendo dalla finestra che la Sig.ra Perfetti scendeva verso Via Cherubini da sola, si appostò dietro un angolo e quando la vide risalire, approfittando del buio del vicolo, si mise addosso un lenzuolo bianco e le corse dietro coprendola di botte. La poverina, sentendosi colpire  si girò e vedendo nell’oscurità solo una cosa bianca che si muoveva, scappò verso casa sua urlando:- Aiuto…..li spirit….li spirit….!!!.

3) Quando era quasi centenaria, alcuni turisti, passando sotto casa sua le chiesero l’età e lei rispose :82; gli stessi turisti  le chiesero poi, ripassando nel vicolo, di nuovo l’età e lei, rispose candidamente:74!!

Con tristezza ricordo quando la portarono al ricovero, perché non era più in grado di stare da sola, con la scusa che le dovevano aggiustare casa: si oppose a lungo, urlando e dicendo di chiamare un muratore che era morto 50 anni prima.

VIA MACELLI

A destra dall’alto;

-       Prima Casa Consorti, poi l’abitazione della famiglia Paolini (detta Scurrane, forse per il luogo di origine): fra tutti i famigliari, ho un particolare e caro ricordo di Bibbì, il nostro bidello delle medie, persona estremamente a modo, sempre attivo e attento, che rappresentava al meglio l'immagine del bidello come stretto collaboratore dei professori; oltretutto era molto simpatico e stimato: erano ben altri tempi rispetto ad oggi;

-       alla fine della via,  mi dicono ci fosse il palazzo adibito ad albergo e gestito da Guido Di Tecco, ma non ne ho memoria.

A sinistra dall’alto;

- Dopo casa del sarto Leone, l’abitazione di Antonio Colleluori, di cui ho già parlato;
-  Poi dopo due casette di cui non ricordo niente.

- Quindi l’ultima casa d’angolo era l’abitazione della famiglia Di Nardo Di Maio (soprannome Cucumette), il cui figlio Enrico abitualmente giocava con noi.

Si potrebbe considerare, infine Porta Macelli anche il tratto di Via Ricciconti tra Via Macelli e Via Celeste.

Era un tratto breve ma molto caratteristico: dopo l’albergo c’era la bottega di Minucc’ (Lu Casciare ) Della Sciucca, il padre di Massimo, il quale, in modo artigianale, costruiva casse da morto; poi quella di Michele Caposcialli (Capusciall) che ferrava all'aperto i cerchi dei carri agricoli: tutti e due, quando avevano un attimo di riposo, andavano alla cantina di Pepp' Ciambren, nonno di Santino Angelozzi , dopo il palazzo De Petris e all’angolo di Via Celeste, per gustare "nu quarte e na gazzose" o "mezze e na gazzose" La gazzosa era quella tipica atriana di Lu Squatren!!! Altro personaggio caratteristico che frequentava la cantina era Funzin Lu Mor che al suo rientro dal lavoro con il suo asino si fermava a fare “nu quartuccio”!!!

A proposito di Santino Angelozzi, che mi ha suggerito queste notizie, ho un ricordo simpatico che non penso proprio che lui conservi: stavamo giocando in Villa e capitò che io lo “scompassassi”, cioè lo scavalcassi mentre lui era a terra. Ebbene, la nonna di Santino mi corse dietro per mezza villa, perché lo dovevo “arcumpassà”, perché se no non sarebbe cresciuto più.

CLAUDIO VARANI