LE CLARISSE: DA PIU’ DI 750 ANNI UNA “PROVOCANTE”

PRESENZA NELLA NOSTRA CITTA’

 

 Abitano la storia della nostra città da più di 750 anni, sono una presenza viva, forte, straordinaria. Parliamo delle Clarisse, le monache che si ispirano alla regola e alla spiritualità di Chiara e di Francesco d’Assisi.

Le origini del Monastero si perdono nella luminosa notte dei tempi. La tradizione vuole che a fondarlo sia stata una consorella di Chiara, forse sollecitata dal Beato Filippo Longo, un atriano che era stato conquistato dalla affascinante utopia evangelica del Poverello di Assisi.

Hanno attraversato i secoli, hanno conosciuto crisi e difficoltà, hanno vissuto il grande dono della povertà come segno di appartenenza a Cristo, ma le Clarisse atriane non hanno mai perso la speranza. Anche qui ci viene incontro il racconto di una consolante profezia con la quale la Vergine, per ben due volte, quando l’orizzonte si faceva buio e la fiducia cominciava a minare l’ottimismo della fede, avrebbe assicurato “che il monastero non sarebbe mai finito”.

E loro ci sono ancora, a testimoniare, con una scelta radicale, che la vita non è solo una vuota danza nel tempo alla ricerca di logoranti evasioni, ma ha un senso diverso, è un itinerario che sconfina nell’infinito.

Le Monache sono molto amate, il loro parlatorio è luogo di incontri intensi e discreti, la loro preghiera raccoglie le lacrime e le gioie del popolo per presentarle al Signore. Hanno sempre una consolante parola di aiuto e di sostegno per quanti bussano alla porta del Monastero. Certo, soltanto in una luce di fede è possibile comprendere, capire la loro vocazione di clausura, di silenzio orante e di quotidiana, discreta operosità.

Non sono delle “recluse”, vivono la più grande delle libertà, quella interiore. Ma, forse, non sono capite, ma piuttosto quasi “compatite”, con affettuosa tenerezza, certo, ma senza lasciarsi provocare da una vita così diversa, così lontana dai frastuoni del mondo, dai decibel sparati nei vari concerti dell’estate atriana.

Si resta impressionati dalle grate, ci si ferma all’aspetto claustrale, magari si cerca di allontanare la forza provocatrice della loro presenza qualificandola come ‘inutile’ confrontandola con quella delle missionarie che assistono i poveri del terzo mondo…

Sì, la clausura, oggi così in ripresa specie nei paesi industrializzati, è una forte, evangelica provocazione. Ci invita a riflettere sulla fugacità del tempo, sul primato dello spirito, sulla vera gerarchia dei valori, sulla inutilità, questa sì, di una esistenza unicamente indirizzata alla ricerca di un benessere materiale che mortifica l’intimo bisogno di felicità scritto nel nostro cuore.

Sorprende, incontrandole, il loro sorriso, la loro serenità, la gioia dipinta sul loro volto. Certamente non si tratta di una vita facile. “La mia più grossa penitenza – diceva un santo – è la vita comune!”. Vivere insieme, con età e sensibilità diverse, è duro, faticoso, ma è bello tessere, ogni giorno, la trama della fraternità sperimentando la serafica letizia.

Lasciamoci, quindi, interrogare dal silenzio di un Monastero che, da secoli, accompagna la vita e la storia della nostra città. Non privilegiamo la sterile e amorevole “compassione”, ma permettiamo agli interrogativi che ci scavano dentro di stimolarci ad una serena e feconda riflessione affinchè le nostre scelte siano, sempre, ispirate da quell’Amore che le monache clarisse hanno incontrato come stupenda carezza di luce e di gioia che riempie i loro cuori.