Pubblicato Venerdì, 22 Aprile 2016
Scritto da Santino Verna

UN ARTISTA CHE ONORA LA CITTA'

I 60 ANNI DI ALBERTO ANELLO, ATTORE E REGISTA

Sessant’anni di vita, quarant’anni di attività artistica. Cifre tonde per Alberto Anello, un artista a 360 gradi, figlio d’arte, perché il papà Antonino oltre ad essere poeta in vernacolo, autore di commedie, cantore nelle compagini sacre e folcloristiche è anche cultore di tradizioni popolari.

Alberto ha vissuto la fanciullezza all’ombra della chiesa di S. Giovanni, in quell’area moderna che oggi ricade per estensione nello storico rione S. Domenico. Con il fratello Francesco, di dieci anni più piccolo e il papà Antonino, è entrato subito nel mondo teatrale, ed era naturale, in una cittadina dove il teatro ha una tradizione trimillenaria. Ad un tiro di schioppo da casa Anello, i resti che documentano la presenza di un teatro romano, del I sec. d.C., il cui materiale andò a rimpolpare l’edilizia civile.

L’exploit di Alberto Anello coincide con la nascita della compagnia che subito prende il nome di “Teatro Minimo”, con le piece al Comunale di Atri, dal nome forse troppo convenzionale, perché candidato era Elio Adriano, come era avvenuto con Ventidio Basso per Ascoli Piceno. Per tagliare la testa al toro si era deciso di chiamarlo “Teatro Piceno” e qualche anno fa, la flebile ipotesi dell’intestazione a Luigi Antonelli, il commediografo di Castilenti che mutuò dall’amico Gabriele D’Annunzio, l’affetto razionato per la città degli Acquaviva.

Il debutto della compagnia degli Anello, formata da tanti giovani atriani, risale al 18 dicembre 1977 con la “Bon’aneme”, per la regia di Piergiorgio Cipollini. Alberto si distingue subito per le ottime capacità teatrali. Ha sempre presentato, da attore e regista, un teatro di livello, mai scurrile, dove lo spettatore non va per ascoltare quanto viene propinato dalle TV commerciali, ma per godere un’opera artistica e riflettere sul significato che essa offre.

Gli anni ’80 sono quelli dei drammi sacri e storici, quasi d’obbligo in una cittadina come Atri, dove il Medioevo è presente negli affreschi parietali della Cattedrale e dell’Incontro dei tre vivi e i tre morti, quasi l’alter ego del ciclo del Delitio. Alberto è in prima linea nell’annuale appuntamento della “Passione di Gesù”, per la regia di Danilo Volponi, un impegno artistico che coinvolge per circa un quarto dell’anno, un buon numero di giovani atriani. Gli vengono affidati diversi ruoli, ma quello più importante, porta la data del 15 aprile 1987, la parte di Gesù.

Alberto, oltre alle doti di attore, ha anche le sembianze del Divin Maestro, consegnate dall’immaginario popolare e nutrite dalla catechesi visive del XIX secolo. Questo uno dei criteri di scelte, anche cinematografiche, come il kolossal di Franco Zeffirelli. Portamento ieratico, carnagione chiara, fisico asciutto, barba e capigliatura non lunghissima, perché Volponi non fa uso di acconciature posticce. Un ruolo, quello di Nostro Signore, durato poco, come durerà poco, la versione itinerante-monumentale della Passione nella città dei calanchi. Alberto cura la regia, ma problemi organizzativi manderanno in fumo la più bella tradizione della Settimana Santa in Atri, dopo la processione del Cristo Morto.

Ma gli Anello, Alberto e Francesco, con Elio Forcella, pluripremiato e autore teatrale, per tre edizioni presentano “L’Uomo di Nazareth”, questa volta all’interno di una chiesa monumentale di Atri, con la soluzione della “passerella”, senza l’inconveniente del tempo brutto, con le stille della pioggia primaverile, serbatoio di apprensione per attori e organizzatori. Ma soprattutto maggior contatto con il pubblico, sempre numeroso, e taglio prettamente teatrale. E’ rimasto famoso il monologo di Alberto Anello, nella parte di Erode. Il fratello Francesco, invece, ha la parte di Gesù. Ponzio Pilato, anche questa volta, ha il volto ieratico e diafano, di Elio Forcella. Il procuratore romano, del resto, è il personaggio più atteso della rappresentazione del Mercoledì Santo, accentuato dal pretorio ambientato sul balcone del palazzo ducale.

Alberto si ritrova con Volponi, nell’estate 1989, per il melodramma “La Vergine di Cesarea”, come aiuto-regista e suo alter ego è Elio Forcella. L’opera in un atto di Antonio Di Jorio suscita tanta emozione negli spettatori di ogni età, presenti in Piazza Duomo, location d’obbligo, perché la parte finale comprende l’entrata in Cattedrale. Merito di Alberto, e del Teatro Minimo, la realizzazione del corteo in costume, come per tanti comuni dell’Italia Centrale. L’Umbria e le Marche avevano cominciato negli anni ’70, e Atri, “papabile” per il “Festival dei due mondi”, poi programmata a Spoleto, si diede al revival della “Maggiolata”, con la sfilata dei carri dipinti trainati dai buoi e la rassegna dei gruppi, in Piazza duchi d’Acquaviva, nell’orario di prima serata.

Alberto Anello ha fatto parte dei cori sacri e folkloristici della cittadina natale e con le compagini canore ha girato l’Italia e l’Europa. Con il coro “A. Di Jorio” diretto dal Cav. Prof. Concezio Leonzi, peraltro responsabile dell’omonimo archivio-museo, Alberto sta realizzando ottimi lavori teatrali, riprendendo la fortunata consuetudine delle commedie musicali, dove canto, musica, recitazione e danza, sono gli ingredienti di un’opera “fatta in casa”, per dirla con il Prof. Leonzi. Tra queste ricordiamo “Na serata d’agoste”, con nuove leve e componenti della prima ora o arrivati lungo lo sgargiante corso della biografia del coro, dove spicca Nicola Parente.

Il 6 maggio facciamo gli auguri ad Alberto Anello, attore, regista, cantore, fotografo e anche scultore. Tra i momenti più emozionanti che ha vissuto ricordiamo “La divozione de la Nativitade”, accanto a Piero Di Jorio, un grande del Teatro italiano, diretto da Giorgio Strehler.

SANTINO VERNA