ATTUALITA’ DEL CONGRESSO DI VIENNA: EQUILIBRIO DI POTERI (E CORTIGIANE)
 
La storia delle nazioni è percorsa da tanti eventi, tanti tasselli tutti singolarmente importanti,  annodati in un complesso intreccio di fili, quasi un torbido intrico, che poi sequenzialmente si snodano, ciascuno connotando il proprio tempo nella geopolitica. Così si susseguono gli eventi che segnano la storia, granelli di sabbia di fronte ai millenni.
Anche oggi viviamo situazioni conflittuali tra Stati che ambivano e tuttora ambiscono al predominio dell’Europa. Tra le pieghe di questi conflitti ricorrenti che si trascinano talvolta anche in maniera cruenta, ci sono sempre problemi irrisolti che aggiungono problemi a problemi nelle varie aree.  L’esperienza del passato dovrebbe ammaestrare per il domani ed aprire gli occhi sugli errori di ieri. Ma non è così. Sempre, in un “oggi“ ipotetico, succede proprio quello che si era cercato di evitare a suo tempo: “Nihil sub sole novum”.
Il conflitto di Crimea, conclusosi con il Congresso di Parigi, (siamo nel 1853, evento che precorre l’unità d’Italia, e del quale ho trattato in altro articolo) spezzò la  Santa Alleanza, nata dal Congresso di Vienna che l’aveva a propria volta preceduta (siamo al 1815).
E proprio sul Congresso di Vienna voglio soffermarmi per ricordare questo eccezionale evento che creò in Europa un ordine legittimo (evitando financo di umiliare la Francia). Ne scaturì un accordo   per la cui riuscita si ricorse a tanti espedienti diplomatici, anche con l’aiuto di astute e compiacenti cortigiane.
L’atto finale del Congresso di Vienna venne firmato due secoli fa, il 9 giugno 1815, a conclusione dei lavori svoltisi nella capitale asburgica a partire dall’autunno dell’anno precedente. Essi, secondo il principe di Metternich, avevano avuto come  obiettivo quello di stabilire un equilibrio politico, il più perfetto possibile fra le grandi potenze in modo tale da ricostruire l’edificio politico dell’Europa sconvolto dalle guerre rivoluzionarie e napoleoniche.
Non si era mai vista una riunione diplomatica paragonabile a quella che ebbe luogo nella cornice al tempo stesso fastosa e austera del barocco viennese. La capitale dell’impero, all’epoca una città di poco più di 250.000 abitanti, venne  invasa da un esercito di individui, circa 100.000 persone, provenienti da ogni Paese e di ogni condizione sociale. Vienna si era preparata all’evento, inizialmente programmato per la fine di luglio e poi slittato alla fine di ottobre 1814.  La città visse i mesi del Congresso in un clima mondano, di festa continua, aristocratica e popolare al tempo stesso. Sembrò che i lavori andassero a rilento. Una boutade dell’ironico e irriverente principe di Ligne è famosa: “Il Congresso non cammina, balla”. Ma non era vero. Facevano, infatti, parte integrante dell’attività politico-diplomatica la sfrenata vita di società, i ricevimenti mondani, le cerimonie ufficiali. Lo stesso si può dire per le tresche amorose che ebbero per protagoniste donne bellissime, intelligenti, intriganti, influenti, sempre, però, eterodirette in nome di una vera e propria diplomazia del boudoir. Caterina Guglielmina di Sagan, per esempio, fu utilizzata da Talleyrand per influire su Metternich e sullo Zar, mentre Caterina di Bagration, prima amante di Metternich a Dresda e poi dello Zar a Vienna, mise in piedi un salotto dove si faceva politica fra un amore e l’altro e dove si radunavano i sostenitori dei diritti di Mosca sulla Polonia.
Alla ricostruzione dei lavori che si svolsero nella splendente città imperiale è dedicato un bellissimo volume di Harold Nicolson dal titolo Il Congresso di Vienna: un classico della storiografia, opera di un grande diplomatico e scrittore inglese, redatta con finezza interpretativa e con stile elegante, attenta alla descrizione psicologica dei protagonisti oltre che, naturalmente, ai sottili scontri diplomatici, talora in punto di fioretto, che animarono le riunioni, formali e informali, svoltesi in diverse residenze del castello di Schonbrunn, o persino, in sale da ballo e in accoglienti alcove.
Al Congresso parteciparono in moltissimi – i plenipotenziari di tutti gli Stati che avevano preso parte alle coalizioni antinapoleoniche – ma, di fatto, i lavori furono guidati dalle quattro potenze alleate (Gran Bretagna, Russia, Austria e Prussia) e dalla Francia. Metternich, sostenitore dell’assolutismo illuminato – l’uomo che aveva caldeggiato la crociata dell’Europa dinastica contro la Francia napoleonica e che, dopo la sconfitta dell’imperatore, aveva promosso la convocazione del Congresso – ne fu il regista. Fu lui a disegnare il nuovo assetto della carta geopolitica europea   all’insegna della restaurazione ispirandosi al principio di equilibrio, in nome del quale si oppose alle rivendicazioni delle nazionalità e ritenendo che il successo di queste ultime avrebbero comportato la polverizzazione del continente e messo in pericolo la stabilità. Metternich interpretava la parola “equilibrio” in maniera quasi meccanica dal momento che tendeva a considerare la politica nello stesso modo che considerava gli orologi astronomici, gli astrolabi e gli altri strumenti con cui aveva la mania di divertirsi nei momenti liberi; e considerava la politica dell’equilibrio nelle relazioni internazionali alla stregua di un principio quasi cosmico. Era poliglotta ed elegantissimo, convinto della infallibilità del proprio giudizio: un’idea se non proprio simile, certo funzionale al principio della balance of poker caldeggiato dal ministro degli Esteri inglese Robert Stewart Castlereigh. Un’idea che, però,  trovò il completamento nel “principio di legittimità” fatto valere al Congresso di Vienna dall’altro indiscutibile protagonista, il principe di Talleyrand. Vero e proprio mostro di abilità diplomatica, questi, il “diavolo zoppo”, capace di inserirsi e transitare fra le pieghe della storia, riuscì a realizzare un miracolo evitando che la Francia fosse posta sul banco degli imputati e ottenendo, anzi, che venisse accettata come fattore imprescindibile per la salvaguardia dell’equilibrio internazionale.
Sulla base di questi principi fu costruito il novus ordo che concedeva alla Russia parte della Polonia e alla Prussia parte della Sassonia, creava la Confederazione Germanica, restaurava gli antichi sovrani negli Stati italiani, accrescendo il peso dell’influenza austriaca sulla penisola. E fu messo in piedi un sistema internazionale destinato a durare un secolo, fino alla Prima guerra mondiale, perchè né la guerra di Crimea né le rivoluzioni nazionali del XIX secolo comportarono crisi globali.  L’idea del “concerto delle potenze” garanti dell’equilibrio generale attraverso la diplomazia e capace di contenere e controllare le pretese egemoniche di singole potenze nacque allora e si rivelò vincente. Henry Kissinger fece osservare come a Vienna fossero state gettate le basi per la costruzione di un ordine internazionale “legittimo”, cioè condiviso sulla base di un principio riconosciuto generalmente valido: un ordine capace di autotutelarsi grazie a quella che oggi chiameremmo la “diplomazia multilaterale”.
Sotto un certo profilo, il sistema internazionale messo in piedi dal Congresso di Vienna fu il precursore della Società delle Nazioni, prima, e  dell’ONU dopo. E se all’indomani della Prima guerra mondiale, la costruzione voluta da Wilson funzionò poco e male ciò è dovuto al fatto che essa venne percepita, più che come “concerto delle potenze”, come “sindacato dei paesi vincitori”. Famosa la battuta sconsolata e amara di Metternich: “Avrei  dovuto nascere nel 1900 e avere dinanzi a me il  XX  secolo”.
Questa battuta evoca alcuni interrogativi: possiamo sorridere di questo anacronismo, ma è veramente così fantastico? Metternich  avrebbe  potuto comprendere anche meglio dei nostri liberali il vero significato della Società delle Nazioni e con il suo acuto senso della solidarietà degli interessi nazionali avrebbe potuto predicare, precorrendo i tempi, le limitazioni della sovranità degli Stati tra i quali non hanno cittadinanza matrici autoritarie. Queste sono le domande attuali che tutta questa storia suscita. Le dure repliche della  storia hanno posto in risalto che l’Europa avrebbe bisogno di un novello Talleyrand, una classe dirigente in grado di articolare un pensiero intriso di saggezza e lungimiranza cui improntare le decisioni, un termometro significativo del fossato sempre più profondo che sembra ormai dividere i governi impegnati in difficili trattative sul mantenimento degli accordi. Il conflitto è riemerso in tutta la sua virulenza.
Gli abusi del potere generano le rivoluzioni; le rivoluzioni sono peggio di qualsiasi abuso: la prima frase va detta ai sovrani, la seconda ai popoli. Al Congresso di Vienna nel 1815 venne puntualizzato il principio di equilibrio concepito con lo scopo di non concedere ad alcun Paese la supremazia territoriale in Europa, ma, al contrario, di equilibrare le forze delle varie potenze in modo che nessuna di queste potesse prevalere sulle altre. Oggi occorrerebbe un nuovo Congresso di Vienna per ribadire che la Germania e il galletto francese non possono comandare sul resto del continente. Ma per fare questo occorrerebbe un nuovo Talleyrand o un nuovo Lincoln, non certo l’attuale classe dirigente, che non esprime  protagonisti di alta statura morale ed intellettuale e le cui decisioni possono evocare soltanto odi e rancori. Per fare un solo esempio, basta riflettere su quanto sta accadendo in Europa nella politica dell’immigrazione e dell’accoglienza indiscriminata e per converso quanto sta accadendo per le assurde decisioni  che dividono i governi europei impegnati in ardue trattative sul mantenimento degli accordi di Schengen. In un mite lunedì  di primavera appare lo spettro minaccioso della costruzione di una barriera, simbolo del grande ingorgo del Nord. Non sono bastati gli avvertimenti di mezza Europa sul danno economico di un’eventuale chiusura del Brennero per l’interscambio tra Paesi membri. L’Austria si vuole erigere un muro di sbarramento al Brennero, marcando con decisione quel confine che proprio la “costituzione Europea” e Schengen avevano reso impalpabile come l’aria. I muri sono rossi di ipocrisia. Nessuno sa davvero come gestire la grande migrazione, la fuga dalla guerra e dalla fame, i traffici dei traghettatori di popoli, gli spacciatori di finte speranze. Non lo sa soprattutto l’Europa che per troppi anni ha finto di non vedere. La politica di ignorare le conseguenze delle migrazioni è stato stupida e sciagurata preferendo rinviare un problema anziché affrontarlo. Tutta gente con la maschera pulita e la coscienza sporca.
L’Italia come la Grecia, fuori da  Schengen. Vipiteno, in Alto Adige, come prossima tendopoli a ridosso del confine. Dopo la trafila di vertici europei falliti e gli appelli a combattere il filo spinato con i “ponti”, la  chiusura del Brennero avviata dall’Austria rischia di condannare il nostro Paese ad essere il secondo “magazzino” di anime del Mediterraneo, dopo il confine greco macedone di Idomeni. La notte europea è sempre più buia, nemmeno qualche lampo improvviso.
L’Europa declina, si sfalda: questi sono gli eventi di cui dicevo all’inizio, il fallimento di una entità che, invero, non è mai esistita come tale. L’Europa, vista la crisi internazionale che riguarda sia gli aspetti prettamente finanziari che quelli di sicurezza interna, dovrebbe avocare a sé maggiori  “competenze“. L’attuale assetto dell’Unione europea è assolutamente inadeguato e non dovrebbero esserci alternative ad una federazione europea dotata di ampie competenze esclusive. Dovrebbe insomma gestire direttamente alcuni settori  finora appannaggio dei singoli  Stati. Ma l’Europa non sarà mai il paradigma delle istituzioni degli Stati Uniti. Ue e Stato Federale americano hanno non solo sistemi diversi ma anche competenze e responsabilità affatto differenti e d’altra parte nessun Paese europeo può affrontare da solo le grandi sfide globali che abbiamo di fronte. Durante la crisi che è stata finanziaria e poi economica, abbiamo perso fiducia reciproca fra i popoli ed i governi europei: e riconquistarla è la più grande sfida.
Ed allora, in tanta opacità, come un fioco barlume di luce si scorge all’orizzonte la seria necessità di un chiaro confronto tra tutti gli Stati dell’Unione Europea che, sull’esempio del Congresso di Vienna, sia capace di varare anzitutto un nuovo Statuto, doverosamente rispettato da tutti, e costruisca quel novus ordo di cui parlavo nell’introduzione. Gli Stati siano tutti rappresentati da protagonisti capaci  ed all’altezza del difficilissimo compito.  
Chissà! Troppa ipocrisia regna oggi nel nostro continente!
Alfio Carta