Una esperienza artistica che onora la città

LA COMPAGNIA TEATRALE ATRIANA: UN TRIONFO DELL’ABRUZZESITA’

Dal 2009 è presente e operante in Atri, la Compagnia Teatrale Atriana, diretta dal regista e attore Giancarlo Verdecchia. Proveniente da una famiglia di artisti, originaria della vicina Casoli, il nonno Giuseppe, veterinario e umanista, dall’aspetto severo e ieratico, fu l’unico esponente della pittura contemporanea a lasciare il segno del talento nel Museo Capitolare di Atri. Lo zio Carlo, anch’egli pittore, non ha bisogno di presentazione per la sua celebrità, con punto di partenza da Napoli.

Con il papà Fausto e il fratello Mario, Giancarlo ha cominciato presto a fare teatro, in una cittadina con la recitazione nelle vene, soprattutto per via dei resti che documentano la presenza di un grande teatro, all’ombra del Collegio dei Gesuiti. E fu proprio l’Ordine di Papa Francesco, presente in Atri per più di un secolo e mezzo, a rinverdire la tradizione teatrale.

Nel 1978 nasce la Compagnia Filodrammatica Atriana, dopo le felici realizzazioni delle commedie musicali curate da Fausto Verdecchia, come “Paese mè”, nel 1968, che prende spunto dalla canzonetta con testo e musica di Antonio Di Jorio, dedicata formalmente ad Atessa, ma per la verità con più di un riferimento alla cittadina dei calanchi. La Compagnia Filodrammatica ha un ristretto numero di attori e caratteristi, in autentico dialetto atriano, con opere ambientate nel passato appena dietro l’angolo e temi sociali con tanti spunti di riflessione. Spicca fra tutti Nicola Parente, presente sin da giovanissimo nel folklore cittadino, con i gruppi canori. Se è vero che la storia non si costruisce con i “se” e con i “ma”, come diceva Benedetto Croce, per il simpaticissimo Nicola potrebbe farsi un’eccezione. Se fosse nato nell’area dannunziana, nella zona di Pescara, avrebbe avuto più fama, perché Atri, con il teatro e le tradizioni, negli anni ’50 e ’60 e anche dopo è stata tenuta un po’ in disparte. E ignorata, addirittura da Sandro Lai, nei suoi documentari per la Rai, riguardo le tradizioni e l’infanzia del Centro-Sud.

La Filodrammatica negli anni ’80 ha presentato “Lu misfatte”, “Lu tranelle” e “Lu distine de la vicchiaje”, per menzionare soltanto alcuni titoli. L’alter ego di Nicola Parente, Concettina Marrone, come in un locale dopo il bombardamento emotivo di Piazza del Campo, il confronto tra S. Domenico e Capo d’Atri. Recita anche Giancarlo, nella parte del giovane che già rappresenta il cambiamento di un’epoca. E sempre il riferimento ad Atri, come nella commedia sul problema degli anziani, la fiera del 15 agosto, la più sentita della città degli Acquaviva, quando la consumazione del cocomero nel pomeriggio dell’Assunta tra i ragazzi nel chiostro della Cattedrale era un rito di grande socializzazione.

Nel 2009 il Teatro di Verdecchia veste un abito nuovo e incrementa la promozione della solidarietà. Ha raccolto fondo per Luca Iezzi, il giovane atriano morto all’inizio del 2016, che tutti ricordiamo con affetto per la simpatia e la discrezione e il servizio liturgico nella Parrocchia di S. Maria. Il lavoro del 16 aprile prossimo a Teramo “Na vodde corre lu lebbre, na vodde lu cacciatore” avrà l’incasso devoluto per l’associazione “Crescere”, collegato alla pediatria di Atri, diretta dal Dott. Mario Di Pietro. L’associazione cura i problemi dell’alimentazione connessi allo sviluppo dei ragazzi, tra i quali, l’anoressia e la bulimia, situazioni inesistenti nella civiltà del primo dopoguerra.

Un’altra raccolta di fondi, promossa dal Teatro di Verdecchia è stata per le campane della Cattedrale di Atri. Per il simbolo cioè della città degli Acquaviva, metonimia della storia ecclesiale e delle numerose chiese, ancora presenti nell’area intramurale. I lavori della Compagnia Teatrale Atriana hanno per titolo un proverbio abruzzese, come “Fa quelle che prete dice, nn fa quelle che prete fa”. Detti che risuonavano sulle labbra dei nostri nonni, quando non c’erano i messaggi sul telefonino, imbastarditi dagli emoticon associato più ai polli d’allevamento che ai galletti ruspanti.

La compagnia non ha un grande numero di attori. Tra questi ricordiamo Emilia Astolfi, Isolina Costantini e Lucia Pisciella, tutte legate al quarto Capo d’Atri, un tempo assai popoloso, dove si faceva teatro nei fondaci, pieno di botteghe artigiane, e per i ragazzi più avveniristici, pure il cinema, improvvisando con un lenzuolo, lo schermo della proiezione. Magari per un cortometraggio dove era difficile comprendere i dialoghi e con immagini poco nitide, ma più che sufficiente per passare un allegro pomeriggio e imitare quanto avveniva nella sala cinematografica vera e propria.

La compagnia di Carlo ha ricevuto in questi anni diversi premi in Abruzzo e fuori regione. Per una quarantina di volte è stato rappresentato “Dai, dai, dai, la cepelle deventerrà aje?”, traduzione nostrale del “gutta cavat lapidem”. Il gruppo teatrale è apprezzato in tutto l’Adriatico, nelle piazze e nei teatri, perché il vernacolo è facilmente comprensibile, goliardico e mai scurrile, senza fronzoli inutili, con il tema ricorrente della famiglia che si riconferma al di là della platea la prima cellula della società.

Tra gli spettatori più assidui delle opere dei Verdecchia, Ermanno Amelii, un atriano verace, anche lui sulla scena, e persino sul piccolo schermo in diretta. Se fosse venuto in Atri Alfonso Maria Di Nola sarebbe rimasto a conversare con Ermanno per un giorno intero, sforzando il braccio per prendere appunti, perché il nostro amico era una miniera di tante cose belle atriane e abruzzesi, raccontate con la lente della quotidianità, quella quotidianità che rappresenta l’ingrediente numero uno di tutte le commedie della Compagnia Teatrale Atriana, del presente, del passato e del futuro. Sì, del futuro che immaginiamo pieno di riconoscimenti, successi e promozione culturale.

SANTINO VERNA