C'ERA UNA VOLTA...

LA PASQUETTA ALLA CONA

La festa della Madonna di Pompei, in contrada Cona, desta un pizzico di malinconia, perché il lunedì di Pasqua è il giorno che precede il rientro a scuola o al lavoro, o comunque sia alla vita ordinaria. E’ un po’ come il giorno dell’Epifania che tutte le feste porta via. E tornare a scuola, il martedì di Pasqua, porta un supplemento di angoscia in più, per via dei verdetti scolastici che si avvicinano, mentre il 7 gennaio la chiusura con promozione o bocciatura è ancora lontana.

La Pasquetta è un giorno che si trascorre lontano da casa con gli amici. A volte ci tocca farla con persone che ci stanno poco simpatiche, diciamo la verità. Ci consola il fatto che il giorno dopo Pasqua consiste appunto in un giorno, o meglio in quattro-cinque ore, perché la Pasquetta è concentrata soprattutto intorno alla mensa imbandita, con le pietanze pasquali.

La gita fuori porta, nel caso atriano, in ricordo dei discepoli di Emmaus, è alla Cona. La chiesa ha la denominazione della Madonna delle Grazie, o meglio della Visitazione di Maria SS. e quindi la festa vera e propria è il 2 luglio, subito dopo l’ottava della solennità di S. Giovanni. Grazie a Don Paolo Pallini, la festa del secondo giorno di luglio ha ripreso la fisionomia antica, anche con il pellegrinaggio a piedi, dalla chiesa di S.Gabriele, suggerito da quello che circa un mese prima da Macerata raggiunge Loreto, alla fine dell’anno scolastico, proposto da Comunione e Liberazione.

La festa del lunedì dell’Angelo risale al 1899, quando nella chiesa fu eretta dal contradaiolo Tommaso Di Febbo, la cappella della Madonna di Pompei con il simulacro che traduce, nella forma a tutto tondo, il quadro della Madonna del Rosario, nel Santuario ai piedi del Vesuvio. La sacra conversazione della Madonna con Gesù Bambino in atto di consegnare la corona del Rosario a S. Domenico e S. Rosa da Lima, affonda le radici nel 1213 quando Maria Santissima apparve al Patriarca dell’Ordine dei Predicatori. E così infatti la vediamo nella lunetta del portale gemino della Basilica del Rosario a Lourdes, la Basilica Inferiore, per riprendere la terminologia assisana.

Poi si aggiunse S. Rosa, e Giovan Battista Salvi, detto il Sassoferrato, diede grande impulso con l’opera eponima al tema della Madonna del Rosario. Nel 1872 il Beato Bartolo Longo, avvocato salentino vissuto nella cerchia degli Spaventa a Napoli, fu salvato dallo sbandamento grazie all’intercessione della Madonna e nel quadro la santa peruviana fu sostituita da S. Caterina da Siena, perché Bartolo era devoto di quella che sarebbe diventata Patrona d’Italia con S. Francesco. Il ritocco non fu difficile, perché fu sufficiente sostituire la corona di spine a quella di rose. La Mantellata di Siena ha le spine in ricordo dell’Impressione delle Stimmate come il Poverello, l’omologa peruviana le rose, richiamo del nome. Ma rose e spine nell’iconografia sono complementari, come dice pure il proverbio: “non c’è rosa senza spina”.

In Atri, il culto della Madonna di Pompei arrivò ben presto, grazie anche ai Vescovi di Atri e Penne, provenienti in quel periodo tutti dall’ex-Regno delle Due Sicilie. Atri aveva l’Arciconfraternita del SS. Rosario, presso la chiesa di S. Giovanni e per tradizione vi erano iscritte le famiglie facoltose, forse perché la mistica corona richiamava quella aristocratica. Ma a S. Giovanni vi era già il simulacro della Madonna del Rosario, ovvero la Vergine con Gesù Bambino, in posizione stante, senza i due Santi. Un’immagine convenzionale della Madonna di Pompei è presente nella sacrestia, ribattezzata sala “Luigi Cosanni”, in memoria dello storico sacrista.

La festa della Madonna di Pompei comprende il programma religioso e quello ricreativo. Nei giorni precedenti è avviata la raccolta delle offerte, per sostenere le spese, e la cura è affidata ai contradaioli, tutti orgogliosi di appartenere alla Cona. Delle contrade atriane, solo per la Cona esiste il “demotico”, ovvero il nome che designa gli abitanti. Per Atri abbiamo gli “atriani”, denomimazione proposta dai dotti per ripescare l’antico nome latino, quello legato all’Adriatico, ma qualcuno dice pure “atresi”. Colle della Giustizia, San Martino, Piantara non hanno demotico, invece per i “conaroli” sì. Gli abitanti della Cona hanno nel DNA un nome di origine greca, perché “eikon” vuol dire immagine. Infatti si potrebbe dire la Madonna dell’Immagine, e la chiesa può essere denominata dell’immagine (cona) della Madonna. Le luminarie intorno alla chiesa, annunciano la festa, con il palco sul sagrato per le esibizioni. Dopo la Messa grande, la processione per i dintorni. Alla Cona è rimasta la tradizione della tarda mattinata perché, repetita iuvant, la sera del lunedì di Pasqua mette una certa tristezza. Se è vero che la domenica finisce con il caffè del pranzo, a maggior ragione, la Pasquetta finisce con lo stesso rito. Abbiamo forse mangiato più degli altri giorni e sbrighiamo gli ultimi affari, spesso quanto non abbiamo fatto nei giorni precedenti la Pasqua. E’ tradizione andare alla Cona a piedi e prima della motorizzazione di massa, le macchine da noleggio facevano la spola tra la chiesa mariana e Atri centro, per quanti non volevano andare a piedi.

Alcuni decenni dopo l’avvio della festa della Cona, è sorta quella, sempre mariana, a Borgo S. Maria, con la processione nella tarda mattinata. L’inaugurazione della nuova chiesa, nel 1982, ha dato certamente un tocco fondamentale alla festa dell’Immacolata di Lourdes. Il copione è quasi uguale, e, ovviamente, i conaroli non lasciano la Cona per Borgo, e quelli di Borgo non lasciano l’ameno quartiere di Pineto per la Cona. E può capitare chi fa entrambe le feste, in un luogo la Messa e la processione, e poi via alla festa accanto, con il pranzo di Pasquetta, tra parenti e amici.

SANTINO VERNA