Pubblicato Mercoledì, 27 Gennaio 2016
Scritto da Santino Verna

GASTRONOMIA, USANZE E CURIOSITA' DI UNA FESTA TANTO AMATA

IL CARNEVALE IN ATRI

Nel 2001, durante una conversazione tra atriani, venne fuori che in Atri il Carnevale è sempre stata una festa molto sentita, pur non essendo patria di parate consolidate come Venezia, Putignano e Viareggio, oppure, per fare un esempio nostrale, Francavilla al mare, dove si tiene il Carnevale d’Abruzzo. Ma Francavilla, inserita nell’area metropolitana di Pescara-Chieti, aveva più possibilità di sviluppare la festa carnascialesca.

Il Carnevale, non è una data liturgica, ma rappresenta il periodo dell’anno legato al divertimento (un tempo l’unico), in vista della Quaresima, in cui non è lecito divertirsi. In particolare, il giovedì e il martedì grasso, sono i giorni che hanno un nesso inscindibile con il divertimento. Per la Chiesa, soprattutto dopo il Concilio di Trento, si sviluppò il concetto di “Carnevale santificato”, con la pia pratica delle Quarantore, istituite in riparazione del Carnevale, ma anche per distogliere la gente dalle frivolezze e dai peccati di questo breve periodo, alla fine dell’inverno. Nell’antico giro, le Quarant’Ore nei giorni di Carnevale si tenevano in Cattedrale, con la nuova soluzione dopo il Concilio Vaticano II, nella chiesa di S. Spirito (venerdì, sabato, domenica un tempo detta di “Quinquagesima”). Nel 1996, per via dei restauri di S. Giovanni, per la chiesa dell’erigendo Santuario di S. Rita ci fu lo slittamento alla settimana seguente, e quindi per la Quinquagesima fu interessato l’oratorio della Trinità. Più o meno la situazione è rimasta invariata, in quanto all’appello non di rado manca una chiesa. Però l’ideale ordine ascendente di dignità è sempre rispettato, con la conclusione in Cattedrale, la Domenica delle Palme.

In Atri, fino a mezzo secolo fa, il Carnevale significava il veglione, al Teatro Comunale. Si andava sempre ben vestiti, e le danze erano l’ingrediente fondamentale. La platea veniva sgomberata e diventava pista da ballo, mentre c’era sempre l’orchestra ad accompagnare i passi dei danzatori, professionisti o improvvisati. Partecipava tutta la cittadina, complice il servizio di ristorazione. Si facevano le ore piccole e il giorno seguente i ragazzi non andavano a scuola o vi andavano con le occhiaie, giustificandosi per quanto riguarda il controllo dei compiti o le interrogazioni.

Per le mascherate, c’era la spontanea sfilata in Corso Elio Adriano e la visita nelle case di parenti e amici, anche se si era riconosciuti all’istante. Era l’occasione per un allegro momento, con il “complimento”, consistente in dolci o in un bicchiere di vino o liquore. Giovanni Spezialetti era una delle maschere più apprezzate della città degli Acquaviva. Poi c’erano Ercolano Giuocoliere e la Signora Maria Luisa Volpe Cellinese, ricordata per i vistosi costumi, quasi un’evocazione del Carnevale di Venezia. Se la salutavi, ricambiava con un profondo inchino, perché la voce sarebbe stato indizio di riconoscimento.

L’Istituto “Ravasco” ha avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione del carnevale dei ragazzi, presso il Teatrino “Mandocchi”. Il tema di una favola era il motivo dominante della festa. Ricordiamo soltanto, nel 1986, la riproposizione della “Famiglia Haddams”, con gli attori in carne e ossa, seguita dal cartoon, e sinonimo di famiglia stravagante. Tanti anni prima, per le strade di Atri, era stato messo in scena “Pinocchio”, evergreen dell’infanzia, ma anche degli adulti, con la balena realizzata da Giuseppe Antonelli, insigne scultore. Gli atriani hanno in qualche modo restituito la visita, nel 2000, al gaio ometto di legno, con la gita a Collodi, organizzata dalla locale sezione di “Italia Nostra”, nel corso di una visita in Toscana, dove erano contemplate le mete dell’arte e dell’ingegno umano.

La fine del Carnevale era annunciata dal suono della campana di S. Caterina, “lu crucifuje”, azionata dal sacrista Michele Pallini. Mezz’ora prima si metteva nei pressi della torre e aspettava il momento clou. I sacri bronzi di S. Caterina smisero di suonare con la chiusura della chiesa per impraticabilità, all’indomani della riapertura del Duomo, dopo i penultimi grandi restauri (1954-64). Con il ripristino di S. Agostino, nel maggio 2001, nella veste di sala polifunzionale per la cultura, rimanendo comunque chiesa, le campane non hanno ripreso il compito ordinario. Le poche Messe celebrate nel corso dell’anno, non sono segnalate dal dolce e vetusto richiamo acustico. Stessa cosa per le processioni.

Piatto del Carnevale atriano, le “scrippelle ‘mbesse”, primo teramano, di origine francese. Secondo una leggenda, un soldato che distribuiva il rancio ai commilitoni, fece cadere distrattamente nel brodo una crespella, dato che venivano serviti entrambi. Al collega piacque tanto che divenne uno dei simboli di Teramo, con estensione nella provincia, nemmeno in tutto l’Abruzzo, tanto che un autotrenista frentano giunto in Atri il giorno di Carnevale, fu ospitato dai parenti che quel giorno avevano preparato le scrippelle. E fu davvero una grande delizia del palato. Erano le “crepes” di farina e uova, cucinate in Francia, per la festa della Presentazione, il 2 febbraio, la Candelora, ponte tra il Natale e la Pasqua. La sfacciata secolarizzazione della Francia ha esteso le “crepes”, anche per le strade, a tutto l’anno, e pure le “scrippelle” coprono tutto l’arco dell’inverno. L’abbinamento al Carnevale è motivato dalla pietanza calda e grassa, in un periodo ancora freddo dell’anno. Tra i dolci, invece, le “chiacchere” e la “cicerchiata”. Le prime, varianti delle “frappe” umbre, venivano preparate dalle ragazze di AC presso l’Istituto “Mandocchi” e portate al circolo parrocchiale e poi interparrocchiale “Beato Rodolfo Acquaviva”, proprio il giorno di Carnevale. La “cicerchiata”, variante nella forma di palline degli “strufoli” sempre umbri, è tipica dell’Italia centrale e meridionale.

Negli anni ’80 le maschere tradizionali furono sostituite nel mondo adolescenziale da punk, dark e paninari, imitazione, promossa dalle TV, di Stato e commerciali, dei coetanei di Milano. Il riconoscimento era ancora più immediato, ma si voleva imitare la moda del momento. Un’atriana incontrò una volta alcuni ragazzi stravaganti, con la foggia dark, fuori dal periodo di Carnevale, per una strada del centro, e domandò a bruciapelo: “di che ordine siete?”.

SANTINO VERNA