Pubblicato Lunedì, 25 Gennaio 2016
Scritto da Santino Verna

CULTO E TRADIZIONI DI UNA FESTA MOLTO SENTITA

SAN BIAGIO PATRONO MINORE DI ATRI

Con S. Reparata e S. Gabriele dell’Addolorata, c’è anche S. Biagio, patrono minore, per Atri. Non conosciamo il protettore della cittadina dei calanchi prima di S. Reparata e in questa ricerca si stava avviando Mons. Giuseppe Di Filippo, il compianto Arcidiacono della Concattedrale e Direttore del Museo Capitolare, autore di una monografia sulla patrona di Atri (2001).

S. Biagio, Vescovo di Sebaste in Armenia, visse tra il III e il IV secolo e oltre alla funzione episcopale avrebbe esercitato pure la professione medica, dato che non esistevano nette distinzioni tra le arti liberali. Nonostante la libertà concessa ai cristiani (313) da Costantino, un motivo di litigio tra quest’ultimo e il cognato Licinio, provocò un’ulteriore persecuzione contro i cristiani e l’uccisione di Biagio. Fu trovato dagli assassini in una caverna, dove si ritirava in preghiera, con la compagnia di orsi e leoni, desiderosi di ricevere la sua carezza e la benedizione. Quando le fiere giungevano nei pressi dell’antro e il taumaturgo era in preghiera, lo lasciavano in pace, aspettando la fine dell’orazione. Secondo la leggenda sarebbe stato torturato da un pettine con ferri acuminati, prima di essere decapitato.

Il corpo sarebbe dovuto arrivare a Roma nell’VIII secolo, ma la nave, per via di una bufera, si fermò a Maratea, l’unico comune della Basilicata sul Tirreno, dove gli fu costruita una chiesa. A Roma è venerato nell’omonima chiesa degli Armeni, in Via Giulia, mentre l’antico titolo è confluito nella chiesa di S. Carlo ai Catinari, tra Piazza Venezia e Campo dei Fiori. Il culto si diffuse ben presto in tutta Europa e nell’Italia Meridionale ebbe grande devozione. Il corpo fu sezionato, perché diverse chiese, nel Medioevo, volevano averne le reliquie, trofeo portato in processione, prima del simulacro.

Ad Atri fu eretta la chiesa di S. Biagio, nei pressi di S. Caterina (S. Agostino), ma fu distrutta nel 1690 da un terremoto, mentre era Vescovo Giuseppe Spinucci, fondatore del Monte di Pietà. Il culto fu trasferito in Cattedrale, parrocchia di appartenenza, con la collocazione dell’ancona lignea all’interno. Attualmente è nel Museo Capitolare. Il Delitio lo immortalò, a mezzo busto, nel coro, nell’iconografia tradizionale di Vescovo maturo e barbato, con il pettine. Ci sarebbe un altro dipinto raffigurante S. Biagio, a figura intera, sempre del maestro marsicano, ma è stato recensito come S. Clemente Papa. Per copricapo ha la mitra in luogo della tiara, e se la prima è attributo del Vescovo e dell’Abate (convenzionalmente alta per il primo, bassa per il secondo), la seconda soltanto del Papa (come nelle attigue immagini di S. Silvestro e S. Gregorio). Forse Delitio voleva sottolineare il ruolo di Vescovo di Roma, ma all’epoca il Papa era soprattutto un re e per questo non avrebbe mai preso il nome di Francesco, il Santo Poverello. Non si tratta però di S. Clemente, perché sul disco di pietra vi è il pettine con i ferri.

In un pilastro a metà della chiesa un altro problema iconografico. Il Vescovo vicino a S. Caterina, è S. Nicola o S. Biagio? Il problema è stato posto a Fabio Marcelli, dell’Università degli Studi di Perugia, il quale ha sottolineato la confusione che facilita l’intercambiabilità. Il fanciullo coppiere, restituito da S. Nicola ai genitori, sarebbe nel contempo il bambino, ormai giovinetto, della spina di pesce. Il calice, nel caso di S. Biagio, è il ringraziamento per il miracolo, ma inserito nella leggenda nicolaiana, l’imago brevis del servizio di domestico nella casa del rapitore. Dalla coppa della mensa il passaggio al calice liturgico è breve. La casula verde non aiuta affatto nell’attribuzione, perché occorreva il rosso per S. Biagio, il bianco per S. Nicola.

S. Biagio era patrono dei fidanzati, perché il 3 febbraio è legato in qualche modo alla fine dell’inverno. Lo sottolinea la canzonetta di Antonino Anello, in dialetto atriano, musicata dal m° Glauco Marcone e interpretata dal m° Quinto Paolini e Lucia Del Principio, componenti del coro folkloristico “A. Di Jorio”. Nell’esibizione compariva il “tarallo”, confezionato nei panifici della cittadina, e donato dallo sposo alla sposa. La fotografia del famoso numero del coro di Atri è presente nello studio del m° Paolini, nella casa di Via Ferrante. Da S. Biagio, con la globalizzazione delle tradizioni, si è passati a S. Valentino, presbitero di Terni che avrebbe unito in matrimonio un pagano e una cristiana e difeso dall’assalto di soldati un gruppo di fanciulle che si preparavano al matrimonio. Ma forse, essendo stato decapitato come S. Biagio, la spiegazione è più semplice: quando un uomo s’innamora, perde la testa, e non ragiona più come faceva prima. L’aspetto consumistico ha consigliato la rimozione dal calendario universale, con la sostituzione della festa dei SS. Cirillo e Metodio, patroni d’Europa, quando già si parlava di continente unito, non solo sotto il profilo economico.

La festa del Vescovo di Sebaste è legato alla Presentazione del Signore, fino al 1969 della Purificazione di Maria. Un tempo celebrazione con accenti penitenziali, oggi ha recuperato l’indole festosa, come l’entrata del Signore nel tempio. In Atri, veniva cantato il Te Deum, alla presenza del Capitolo della Cattedrale e del popolo, come ringraziamento per la liberazione dal terremoto, grazie all’intercessione di S. Reparata. Nella maggior parte dei luoghi del Medio Adriatico, il protettore contro il terremoto è S. Emidio, Vescovo e martire, originario di Treviri.

SANTINO VERNA