Pubblicato Giovedì, 21 Gennaio 2016
Scritto da Santino Verna

Volti e storie di quei ragazzi diventati adulti...

DON GIOVANNI D’ONOFRIO E LA MESSA DEL FANCIULLO

A quindici anni dalla morte di Don Giovanni D’Onofrio, Arciprete della Cattedrale e Presidente del Capitolo, mi piace ricordare un aspetto (e che aspetto) del lungo parrocato in S. Maria: la Messa dei giovani, quella delle 10.30 nella Basilica, fresca di tale denominazione, donata dal Beato Paolo VI nel 1964. La dicitura “fanciullo” non piaceva al Prof. Cesare Di Giovanni, docente di latino e greco al liceo “G. D’Annunzio” in Pescara e grande appassionato di teatro, e lo ribadiva nelle interrogazioni e nei lavori di gruppo. “Ragazzo si traduce”, sentenziava facendo capire che forse “fanciullo” è antiquato.

Don Giovanni era giunto in Atri nell’ottobre 1967, all’indomani della chiusura del Concilio Vaticano II, per volere di Padre Abele, da pochi mesi Vescovo di Teramo e Atri. La parrocchia prendeva una più limpida fisionomia nella Chiesa e all’aspetto confraternale del passato, subentrava con dinamismo la nuova epoca. La S. Messa delle 10.30 aveva uno stuolo di chierichetti, ancora denominati “Piccolo Clero”, con la locuzione interessata, in vista di una possibile chiamata al sacerdozio ministeriale o alla vita consacrata. I ministranti erano ovviamente tutti maschi, e il numero raggiungeva la sessantina, contro la ventina della Parrocchia di S. Nicola, negli anni ’60 e ’70 ancora molto abitata, sia nella parte intramurale che in campagna. Come numero di addetti al servizio liturgico la Cattedrale di Atri era al primissimo posto nella forania e certamente tra i primi in tutta la regione. La “divisa” del piccolo clero era la tarcisiana, tunica bianca con due liste perpendicolari rosse, mutuata dall’iconografia di S. Tarcisio, patrono dei chierichetti. In Atri era apparsa la prima volta in S. Francesco, all’indomani della riforma liturgica del Vaticano II. I ragazzi più grandicelli e, ovviamente, i responsabili, indossavano il camice con decorazioni alle estremità delle maniche e in fondo al manufatto. La vecchia talare nera con la cotta bianca era prerogativa soltanto del sacrista Antonio Ferretti, morto l’anno scorso alla vigilia della centesima candelina.

Tra i ministranti della Messa di S. Giovanni (impossibile elencarli tutti), ricordiamo il Dott. Carmine Cellinese, Giuseppe Schiavone e Marco Lolli, la terna dei cerimonieri, soprattutto per la Messa presieduta dal Vescovo, proprio alle 10.30. Ad essi si affiancava l’attuale responsabile dei ministranti, Gian Piero Di Nardo Di Maio, l’unico chierichetto di Don Giovanni ad esser ricordato nel cast della S. Messa televisiva di Rai 1, con la voce di Enrico Longo Doria, speaker torinese proveniente dalla Tv dei ragazzi, il cui debutto  era avvenuto esattamente 17 anni prima della diretta atriana, dalla chiesa parrocchiale di S. Stefano Belbo, patria di Cesare Pavese. Il testo era di Don Ciro Sarnataro, alla consolle da più di 30 anni, sempre puntuale nel mettere il nome di chi guida la liturgia.

Per i ragazzi atriani era un privilegio, una gioia grande, servir Messa nella Basilica Cattedrale. E non solo per fare i chierichetti sotto gli affreschi di Andrea Delitio. Anche quando non veniva il Vescovo, la Messa delle 10.30 era un momento molto felice. Nel 1994 –era il Triduo Pasquale- arrivarono le prime chierichette e per qualche tradizionalista sembrava un problema. Non tanto per un fatto di misioginia, quanto per la visione ancora “clericale” dell’inserviente della liturgia. Va bene una ragazza per proclamare l’epistola, va bene la donna per suonare il campanello all’elevazione (dal banco), al limite si accetta una bambina in abiti borghesi per lavare le mani al sacerdote quando però mancano i maschietti, ma una chierichetta, con tanto di tarcisiana o camice bianco, sembrava troppo!

Il coro festivo aveva due postazioni: dietro l’altar maggiore, nel coro propriamente detto, oppure nei pressi dell’altare del Crocifisso, di patronato Corvi, una delle facoltose famiglie atriane, oggi estinte. All’organo a canne, suonato nelle occasioni più solenni come le tre con l’immancabile partecipazione della schola di S. Francesco (Immacolata, Te Deum, S. Reparata), subentrò la tastiera elettronica, quasi un pugno nell’occhio per chi ammirava il ciclo pittorico più importante del tardogotico in Abruzzo. La tastiera era affidata a Luigi Bosica, ora autorevole componente del coro folkloristico “A. Di Jorio” diretto dal Prof. Cav. Concezio Leonzi, mentre la chitarra elettrica era nelle mani di Pasquale Romano. Talvolta si associava il Prof. Francesco Petrelli, diplomato in flauto traverso, per accompagnare i canti liturgici. Nel 1996 al posto di Gino Bosica, è subentrato Mario Ferretti e si era alla vigilia della costituzione del coro cittadino, dedicato all’indimenticabile Don Giovanni. Teneva molto al canto, non voleva la “Cappella Sistona”, piena di stonature e di improvvisazioni, ma un coro che doveva imitare la “Sistina”, la schola cantorum che canta davanti al Papa. Il repertorio comprendeva diversi canti del MEG, nato nel 1944 e grosso modo una via di mezzo tra AC e scouts, presente presso l’Istituto “Mandocchi” delle Suore Ravasco e molto dinamico negli anni ’80 e ’90. E anche brani della Tendopoli, con due gruppi in Atri capoluogo, a S. Gabriele e in Cattedrale, frutto della devozione a S. Gabriele.

Frisina è arrivato molto tardi sulla tastiera della Basilica Concattedrale, dopo la morte di Don Giovanni. Nel repertorio c’erano ovviamente tanti canti gregoriani e polifonici, riproposti nelle celebrazioni più solenni. La Messa con l’animazione dei giovani in estate era trasferita alla sera, per consentire ai ragazzi di andare a Pineto, senza l’ansia di risalire presto nella città dei calanchi.

Nel 1996 la “Messa del fanciullo” fu trasferita in S. Francesco, per alcuni restauri della Cattedrale. La chiusura fu breve, perché la Cattedrale era pronta per la prima domenica di Avvento, primo anno pregiubilare. Ma per gli atriani era, prima di tutto, la novena dell’Immacolata Concezione, memori delle belle celebrazioni in S. Francesco con i frati, dove il gremitissimo interno, nell’ampia navata e nelle profonde cappelle laterali invitavano alla lode e alla preghiera. Ci fu però una variazione d’orario: la S. Messa fu trasferita alle 11.15, perché abolita la Messa di mezzogiorno, capitolare, abitualmente presieduta dall’Arcidiacono Don Bruno Trubiani, servita dal sacrista Antonio Ferretti e animata, con l’organo, dal Prof. Marco Della Sciucca, musicologo e organista della schola-cantorum “A. Pacini”.

La S. Messa capitolare fu trasferita alla sera, per via delle non perfette condizioni di salute di Don Bruno, e celebrata, a turno, dai canonici della Cattedrale. Ed era già il Grande Giubileo del 2000. Don Giovanni ha lasciato un grande ricordo nei ragazzi di allora, diventati adulti. Chi medico, ingegnere, impiegato, infermiere, rappresentante, ma l’essenziale, per dirla con il principio di economia caro ad un amico di Atri e Pineto, lo storico della linguistica Prof. Domenico Santamaria, garganico, della terra adottiva di Mons. Vincenzo D’Addario, è che son diventati uomini.

SANTINO VERNA