Pubblicato Mercoledì, 23 Dicembre 2015
Scritto da Santino Verna

UNA VERA SCOPERTA: STORIA, CRONACA E AFFETTI UNISCONO LE DUE CITTA'

SPILAMBERTO LEGATA AD ATRI AL MUSEO MARABOTTINI DI PERUGIA

Il 20 dicembre è stato inaugurato a Perugia, il Museo Marabottini presso Palazzo Baldeschi, in Corso Vannucci 66. Il Museo, voluto dal Prof. Alessandro Marabotti Marabottini, scomparso nel 2012 è stato realizzato grazie alla CariPerugia, con il suo Presidente Prof. Carlo Colaiacovo, con l’instancabile lavoro della Prof.ssa Caterina Zappia, docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università degli Studi di Perugia.

La presentazione, nella Sala dei Notari, dirimpetto al fianco del Vangelo della Cattedrale di S. Lorenzo, ha registrato la presenza di docenti, studiosi, alunni ed ex-alunni dell’ateneo perugino. Presente anche il Prof. Michelangelo Pascale, poeta e docente di Storia della Musica Medioevale, sempre nell’università umbra.

L’attore Antonio Fazzini ha letto uno scritto dell’insigne professore fiorentino, per lunghi anni docente all’Università di Messina (arrivò nella città dello Stretto, nel 1962, quando da poco era morto in Atri un illustre docente nella stessa, il Prof. Can. Luigi Illuminati) con lo sfondo di un Riposo durante la fuga in Egitto, dove non è la Madonna a tener in braccio Gesù Bambino, ma è S. Giuseppe, vestito nell’iconografia tradizionale secentesca, nel filone dei dettami tridentini.

Lo sfondo è la campagna di Spilamberto, legata per più di un motivo alla città di Atri. Il primo è storico: Spilamberto come Atri è città “di” campane, e non “delle” campane come possono essere Agnone, Castelnuovo ne Monti, Guardiagrele, Lanciano. I sacri bronzi, suonati anche attraverso competizioni, sono il simbolo di entrambi i comuni. Gli atriani erano detti dai silvaroli “sonacambane” con un pizzico di ironia. I rapporti tra le due vicine comunità si ricucirono, soprattutto nella seconda metà del XIX sec., quando Silvi divenne residenza estiva degli atriani, con la costruzione di villini, come quello dei Sorricchio, nei pressi della chiesa francescana dell’Assunta. Con la dispersione o l’estinzione delle famiglie aristocratiche, Silvi continuò ad essere la spiaggia della gente facoltosa di Atri, ormai primari e medici ospedalieri, non sempre atriani. I pendolari andavano a Pineto e chi progettò nell’antica Villa Filiani la casa al mare, finì per viverci tutto l’anno, per l’amenità del luogo e la facilità di comunicazioni.

Spilamberto è il comune di nascita del Vescovo Abele Conigli, il cui episcopato durato quasi un quarto di secolo è stato ricco di avvenimenti: il Concilio Vaticano II con la riforma liturgica portata con grande audacia a Teramo e Atri, il Giubileo del 1975, il Congresso Eucaristico Diocesano con la visita della Madonna di Loreto e di S. Giovanni Paolo II felicemente regnante, l’Anno Mariano, la nascita di nuove parrocchie nella forania di Atri. Padre Abele conservò sempre un meraviglioso rapporto con Atri, anche se le visite non erano molto frequenti, dato che aveva stabilito Teramo come sede abituale del Vescovo delle due diocesi, formalmente autonome, ma sostanzialmente unite.

A Spilamberto vi risiede da diversi anni con la famiglia, il Prof. Elpidio Mincione, docente universitario a Modena, odondoiatra, nato in Atri nel 1951, dove era insegnante di latino il suo papà, Prof. Giuseppino, insigne umanista, scomparso il 17 giugno scorso. Il Prof. Elpidio ha fatto in Atri la scuola primaria, e nel 1963 con la famiglia si trasferì a Pescara.

Spilamberto è ben conosciuta dalla famiglia Martella, residente a Modena da tantissimi anni. I nipoti dell’Arcidiacono Raffaele Tini, fondatore del Museo Capitolare e pioniere della vocazione museale della città degli Acquaviva, tornano in estate nella casa di Capo d’Atri.

Fu caldeggiata, in maniera assai flebile, l’ipotesi di un gemellaggio tra Atri e Spilamberto, con la presenza di questi motivi, di storia, cronaca e affetti, grazie all’Ing. Graziano Giacobazzi. La città degli Acquaviva ha stipulato nel corso di questi ultimi anni, alcuni gemellaggi, italiani e stranieri, sottolineando maggiormente l’aspetto ducale, perché la dinastia del Beato Rodolfo, dominò Atri e il vasto territorio dal 1390 al 1757, un tempo che abbraccia manualisticamente la fine della storia dell’arte medioevale e quella dell’arte moderna ormai contigua alla contemporanea.

Ma è giusto sottolineare anche la “petite histoire” con le campane, a partire da quelle della Cattedrale, simbolo della cittadina. Poi, la campanella agitata da un frate sul sagrato di S. Francesco, quando era impraticabile il campanile a vela, per convocare ai momenti liturgici dell’affollatissima chiesa. E perché non parlare della campana di S. Ercolano, al vertice della graziosa costruzione a vela nel monastero di S. Chiara? Fin qui i sacri bronzi. Quindi la leggenda della campana del re Giovanni d’Acri, diventato d’Atri, con il cavallo che s’aggrappa alla fune e suona perché gli mancavano le cure del padrone. La leggenda diede vita negli anni ’70 al celebre ristorante di Massimo Di Febbo, e più tardi al dramma di Elio Forcella e dei fratelli Alberto e Francesco Anello, con gli attori del Teatro Minimo, in Piazza duchi d’Acquaviva.

Il Museo Marabottini è una perla che si è aggiunta alla multicolore collana della città di Perugia. 700 opere d’arte di diverse epoche con un assortimento di autori famosi e semisconosciuti. Diventa laboratorio di arte sul campo, perché la storia dell’arte può essere un motore di promozione umana, e perché no, di avviamento al lavoro per non pochi giovani.

E così Atri è simbolicamente anche in quel Museo, grazie al grande Prof. Marabottini, collezionista, viaggiatore, sportivo, critico d’arte e docente, un professore a tutto tondo e alla Prof.ssa Zappia, la maggiore studiosa di Maurice Denis, come in quel Museo sono presenti con lo spirito tutti gli studenti, di ieri e oggi, formati e forgiati da meravigliosi maestri come loro.

SANTINO VERNA