Pubblicato Mercoledì, 02 Dicembre 2015
Scritto da Antonio Cerquitelli

DIETRO GLI EVENTI: UNA ATTENTA LETTURA

ISIS E DINTORNI...

Perché non riusciamo a battere l’ ISIS ? In fondo è questa la domanda che ci perseguita. Soprattutto dopo i fatti di Parigi. La NATO pare non riuscire a sbaragliare un esercito che comprende ( secondo alcune stime) circa 20.000 combattenti; una situazione davvero paradossale. In realtà esiste una risposta a quella domanda e va ricercata in Medio- Oriente. In un luogo preciso: il Golfo.

Di qui scaturiscono le scosse del sisma geopolitico che scuote il nostro fronte meridionale, dal Nord - africa al Levante. La posta in gioco è se debba essere Persico o Arabico. Se vi prevalgano Iran o Arabia Saudita, ciascuno con i suoi satelliti. Perché dominare il Golfo significa metter mano al massimo tesoro energetico del Pianeta, dove giacciono i due terzi delle riservate private di petrolio, un terzo di quelle gasiere, e da dove parte ogni giorno un quarto del greggio commerciato sui mercati mondiali. Spartiacque dunque fra arabi e persiani, sunniti e sciiti. Sino alla guerra fredda si poteva a ragione parlare di golfo americano. Ma dopo l’ avvento alla Casa Bianca di un presidente la cui priorità è ridurre la sovraesposizione dell’ impero a stelle e strisce, la titolarità di quella strategica insenatura è un ballottaggio tra le due potenze che vi si affacciano: Iran e Arabia Saudita. A completare il parallelogramma delle forze che partecipano alla competizione nel Golfo sono Turchia e Israele. Ma cosa c’ entra l’ ISIS con questo ambaradam di forze in campo? L ‘ ISIS è una fazione sunnita radicale, di cui si sono serviti Arabia Saudita e Turchia ( anche questi Paesi sunniti) in funzione anti-sciita. Contro la Siria sciita di Bashar al- Assad e contro il suo potente alleato, l ‘ Iran. Per questo si parla di armi che i sauditi e i turchi avrebbero segretamente fatto pervenire a daesh ( ISIS). Ma, alla fine, le loro stesse armi si sono rivoltate contro: il califfo al- Baghdadi ha dichiarato di non riconoscere né il governo turco né quello della dinastia dei Saud, organizzando attentati nei due Stati arabi. A ciò aggiungiamo un fatto epocale, che ha rivoluzionato gli equilibri in Medio Oriente: l’ accordo tra Iran e Usa sul nucleare, che porterà a una riduzione delle sanzioni verso il governo di Teheran. E ciò ha scombussolato le diplomazie non solo di Turchia e Arabia Saudita, ma anche, e soprattutto, di Israele. L’ accordo con l’ Iran vuol dire sostanzialmente il riconoscimento internazionale di Teheran, da sempre nemico storico di Gerusalemme e di Netanyahu. Ciò ha spinto Israele a coltivare un’ alleanza informale con l’ Arabia Saudita in funzione di contenimento dell’ espansione iraniana.  Coppia apparentemente impensabile, Israele e Arabia Saudita, due Paesi che nemmeno si riconoscono. Eppure effettiva. A conferma che il paradigma religioso non è affatto la radice dei conflitti: diversi in tutto, entrambi condividono l’ esigenza del “primum vivere”. E in fondo a Netanyahu non dispiace  granchè che l’ ISIS stia attaccando a viso aperto Siria e Iran, gli arcinemici di sempre. Lo stesso califfo ha dichiarato che i nemici principali da abbattere sono gli eretici, cioè i musulmani sciiti e sunniti moderati. Anche il premier turco Erdogan ha molto da ottenere dal caos fomentato dai terroristi di Daesh: Ankara  sogna di ristabilire, secondo reminiscenze ottomane, una sua sfera d’ influenza centrata su Mosul e sull’ alto corso dell’ Eufrate. E’ lapalissiano che ci troviamo di fronte al caos elevato al quadrato, in cui la logica che più emerge è quella del: “ il nemico del tuo nemico è tuo amico”, e seguendo questa strategia molti Paesi arabi hanno usato Daesh come alleato, contribuendo a spargere sangue per le strade. Come soluzione sembrerebbe auspicabile un Congresso del Golfo sul modello di quello di Vienna del 1814: la riabilitazione dell‘ Iran da parte di Obama equivale alla scelta di Metternich di associare la Francia post- napoleonica al nuovo equilibrio europeo, anziché punirla per aver sfidato il diritto divino delle cose. Obama come Metternich, Putin come lo zar Alessandro I. Manca però il comune sentire che a Vienna accomunava i sovrani europei e su cui fondavano il principio di legittimità, architrave del nuovo equilibrio. Putin sembra avere le idee chiare e il pragmatico Obama pare ancora di no, che però difficilmente vorrà concludere la parabola dello “ yes we can” ammettendo “ no we can’t”. Ma un avvertimento per noi europei: il Golfo è vicino perché l’ America è lontana.

Antonio Cerquitelli